Cure parentali: la donna cardine dell’assistenza a casa

Intervista a Francesca Merzagora

a cura di Mariapaola Salmi

email mp.salmi@libero.it

È un modello tutto al femminile quello dell’assistenza parentale a domicilio nel nostro Paese. Minima la percentuale degli uomini che dedicano parte della loro giornata ad assistere un genitore anziano, la partner o un figlio malati.

Un esercito silenzioso e assai poco garantito quello dei 5 milioni di italiani, costituito per oltre l’80% da donne, che fanno assistenza in casa, forte l’impatto in termini di lavoro e reddito, al punto che per i caregiver non professionisti, di cui è esempio paradigmatico la badante, divenuti così numerosi negli ultimi anni, si è mosso il legislatore.

Questo e molto altro è lo scenario tratteggiato nel Libro bianco 2018 La salute della donna. Caregiving, salute e qualità della vita, giunto alla sesta edizione come d’uso redatta dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna e di Genere - ONDA, presentato di recente ed elaborato in collaborazione con Farmindustria.

The Italian Journal of Gender-Specific Medicine ne parla con la Presidente di ONDA, Francesca Merzagora.

Perché questo Libro bianco dedicato alla figura del caregiving?

Come ogni anno noi dedichiamo il Libro bianco a un tema di approfondimento sulla salute della donna. Quest’anno abbiamo voluto focalizzare l’attenzione sul caregiving alla luce anche del fenomeno dell’invecchiamento della popolazione e dell’iniziativa che abbiamo lanciato tre anni fa dei bollini rosa argento, come riconoscimento alle residenze sanitarie assistenziali che vengono premiate per l’attenzione all’aspetto dell’umanizzazione delle cure. La popolazione invecchia e il tema del caregiving rispetto ai malati, ma anche rispetto agli anziani, è qualcosa di molto importante, specie se ne consideriamo l’impatto sulla salute fisica e psichica della persona che presta assistenza e non solo.

Qual è lo scenario in Italia?

Da una prima analisi sulla speranza di vita, si conferma un dato già noto, ossia che le donne sono più longeve (84,9 anni) rispetto agli 80,6 anni degli uomini, ma più svantaggiate in termini di aspettativa di vita in buona salute (57,8 anni) rispetto ai loro coetanei maschi (60 anni). Le donne vivono più a lungo, ma si ammalano di più. A questo è seguito un excursus sul tema della fecondità e della natalità, in cui si conferma anche la marcata contrazione delle nascite e un progressivo innalzamento dell’età materna alla prima gravidanza. Sono stati esaminati i determinanti modificabili che influenzano la salute, concentrandosi sugli stili di vita che fanno la differenza tra donne e uomini. Il fumo di tabacco a partire dallo scorso anno è aumentato moltissimo nel sesso femminile: 12 milioni (dato 2017) sono i fumatori in Italia ma le donne sono cresciute da 4,6 milioni a 5,7, dato molto negativo. L’attività fisica segna un’altra importante differenza di genere: in tutte le fasce d’età le donne sono più pigre e sedentarie rispetto agli uomini, dato che aumenta con l’età. Un altro dato importante emerso dall’indagine è quello dei vaccini che ha evidenziato, grazie al decreto Lorenzin, un miglioramento per donne e uomini delle coperture vaccinali. Nell’ambito della prevenzione secondaria abbiamo esaminato tutti gli screening oncologici (mammella, colon retto e cervice uterina), che hanno evidenziato ancora una copertura insufficiente, seppur migliorata, e a macchia di leopardo.




Ci può dare qualche dato quantitativo del fenomeno?

Entrando nel vivo del tema assistenza, abbiamo focalizzato l’attenzione sul caregiving che viene inteso nel suo significato più specifico come lavoro di cura rivolto alle persone non più autonome, malate o disabili non più autosufficienti; lavoro importantissimo anche per quel che riguarda l’aderenza alle cure e per la tipologia degli interventi. Abbiamo distinto due categorie: il caregiving formale, ossia quello che viene remunerato e che riguarda il 17% delle famiglie, tipicamente rappresentato dalle badanti; e il caregiving informale, ossia quello che si svolge in ambito familiare e può coinvolgere uno o più componenti della famiglia che assistono un congiunto. I numeri sono nettamente a favore delle donne, l’86% delle quali è impegnato con diversi gradi di intensità nell’assistenza dei familiari anziani e/o malati. Una donna su tre si occupa dei propri cari senza ricevere aiuti esterni. Solo la metà fa affidamento su collaborazioni saltuarie in famiglia e solo nel 14% dei casi si appoggia a un aiuto esterno. Una su quattro è agevolata sotto il profilo lavorativo.

Nonostante ci siano esempi virtuosi di aziende che facilitano, tramite azioni di welfare secondario, questo tipo di attività, il più delle volte la donna che assiste è sola ed è costretta ad elaborare mille strategie per accudire il familiare, non assentarsi dal lavoro e svolgere le normali attività quotidiane. In una nostra precedente indagine del 2016 si evidenziava che il 73% delle donne italiane si occupava di assistenza parentale a casa, ma il dato emerso attraverso un’altra indagine Ipsos commissionata da Farmindustria è arrivato a superare l’85%.

Qual è il peso di tutto ciò sotto il profilo psicologico?

Indubbiamente c’è un peso legato all’assistenza, determinato da vari fattori tra cui l’età del caregiver, la malattia o la disabilità dell’assistito e la stessa preparazione del caregiver, nel senso che spesso, quando un malato viene dimesso dall’ospedale, il familiare di riferimento non viene preparato ad affrontare quello che seguirà in termini di assistenza. Di conseguenza l’impatto può diventare molto pesante. Diverso è il peso a seconda che si tratti di un anziano, di un malato oncologico o affetto da patologie neurodegenerative o psichiatriche. In alcuni casi il caregiver può andare incontro a stress talmente forti e prolungati da determinare uno stato di esaurimento emotivo, mentale e fisico a causa della pressione troppo forte derivante dal dover assistere un familiare. Questa situazione può scaturire in un vero e proprio disagio psicologico causato dall’ansia e da una condizione di malessere che possono sfociare in veri e propri stati depressivi.

E quando è la donna che assiste ad ammalarsi?

Quando questo accade, allora è la donna stessa a prendersi cura di sé. Nel 46% dei casi di problemi lievi di salute e nel 29% delle situazioni più gravi, la donna si prende cura di sé stessa da sola. Ben il 68% delle donne, con alto tasso di coinvolgimento nel caregiving, è totalmente autonoma nella gestione delle proprie problematiche di salute, talvolta anche fortemente invalidanti.

Molto spesso la donna che svolge il ruolo di caregiver, impegnata com’è nella sua funzione di assistere il congiunto malato o non autosufficiente, non solo tende a isolarsi, a restringere le sue frequentazioni, ma addirittura arriva a trascurare sé stessa, la sua salute, non fa i controlli medici o li rimanda nel tempo, segue un’alimentazione scorretta o si nutre poco, non pratica attività fisica, non ha tempo libero, cambia le proprie abitudini, non dorme a sufficienza: tutto questo si ripercuote nel tempo sulle condizioni fisiche e mentali, oltre a modificare le stesse relazioni affettive.

Cosa manca in termini di previdenza per le donne che dedicano diverse ore al giorno alle cure parentali?

Tutto questo quadro alquanto complesso non trova purtroppo riscontro in un’adeguata normativa nazionale a tutela dei caregiver. Basti dire che per le donne lavoratrici la situazione si aggrava ulteriormente dal momento che solo 1 su 4 può avere accesso al part-time, allo smart working o agli asili assistenziali.

Sarebbe assolutamente auspicabile un quadro normativo preciso. L’attenzione del legislatore su questo importante fenomeno non manca. Nel 2017 con la legge di bilancio è stato istituito presso il Ministero del Lavoro il fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver con una dotazione di 20 milioni di euro. Poi, caduta la legislatura, null’altro per il 2018 è stato finanziato. Indubbiamente, come spesso accade nel nostro Paese, ci sono esempi di Regioni virtuose come l’Emilia-Romagna, la Campania, il Lazio, la Lombardia e altre, che si sono date delle leggi regionali, ma di sicuro manca un approccio nazionale. La notizia buona è che lo scorso 10 ottobre è stato presentato e ha iniziato a essere discusso dagli organi competenti, tanto che ci auguriamo arrivi presto in Senato un disegno di legge molto interessante, formato da 13 articoli nei quali si chiede non solo che venga riconosciuto questo ruolo attraverso una certificazione della qualifica rilasciata dall’INPS, ma che vengano dettate delle norme specifiche per consentire un adeguamento dei livelli essenziali delle prestazioni e dei livelli essenziali di assistenza a favore del caregiver. Il concetto chiave del decreto è che venga valorizzato e sostenuto il principio di conciliazione tra l’attività lavorativa e l’attività di cura, affinché il datore di lavoro sia tenuto a concedere al caregiver una forma di lavoro agile e flessibile. A tale proposito diciamo che alcune imprese sono più virtuose di altre, ad esempio le aziende del farmaco. Tuttavia su questo fronte c’è da fare davvero tanto. All’interno del decreto si chiede anche che il lavoro del caregiver venga riconosciuto come usurante. Infine, l’articolo 11 prevede un rifinanziamento del fondo per i caregiver al fine di far fronte a tutte le esigenze di questa figura così importante nella nostra società e per il nostro sistema di welfare. In altri Paesi, come la Francia, la Gran Bretagna, la Svizzera, la Danimarca, molto più avanzati di noi, abbiamo diversi esempi di tutela del caregiver da cui potremmo prendere esempio. Per il momento l’Italia arranca ancora molto su questo aspetto.

E qual è la presenza degli uomini nello scenario assistenziale?

Sappiamo che gradualmente negli ultimi anni anche l’uomo inizia a essere e a sentirsi coinvolto. C’è su questo aspetto un cambio di paradigma di un certo rilievo. Pensiamo alle giovani coppie, dove gli uomini aiutano nella gestione dei figli. Considerato l’invecchiamento progressivo della popolazione, la denatalità, i nuclei familiari miniaturizzati, dovremo arrivare per forza di cose a una parità uomo-donna anche rispetto al problema delle cure parentali.