Donne e migrazioni: la triplice invisibilità

A cura di Maria Paola Salmi

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Parlare di migrazione e migranti è impossibile senza tener conto del genere e delle pari opportunità uomo-donna. E non solo per i numeri poderosi, un flusso ininterrotto e in aumento di 258 milioni di individui nel mondo1, ma perché la presenza femminile, il 52,7% del totale2, negli ultimi decenni è divenuta sempre più preponderante dentro le ondate migratorie tanto da categorizzare il fenomeno come ‘femminilizzazione’ dei flussi migratori.

Solo uno sguardo in prospettiva di genere consente di cogliere le relazioni sociali, di sesso e di potere che si intersecano nell’esperienza migratoria e che caratterizzano i luoghi d’origine e quelli di arrivo, scoprendo le specificità e le potenzialità sottese all’interno dei flussi migratori al femminile.

Nei decenni scorsi poco si è parlato di migrazione. Se se ne è parlato, lo si è fatto solo al maschile. Non si è invece parlato per niente di migrazione al femminile. Il dibattito sulle donne migranti è iniziato negli Stati Uniti a partire dal XX secolo. Poche o nulle anche le azioni volte alla tutela dei diritti fondamentali delle donne immigrate alle quali, malgrado tutto, l’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa riconosce un ruolo cruciale: donne che in pochi decenni diventano meno invisibili e partecipano in alcuni casi attivamente al processo di integrazione e trasformazione sociale ed economica legato ai flussi migratori. Tanto che nel Rapporto UNFPA del 2006, leggiamo: “La migrazione femminile è un fiume possente ma silenzioso … una rivoluzione in espansione di movimento e di empowerment ma che resta in gran parte silenziosa3.

Le prime ricerche fanno emergere il profilo di una donna migrante passiva, arretrata, sottomessa e dipendente, legata alle tradizioni del paese d’origine. È solo a partire dagli anni ’70 che si comincia a guardare alla migrazione femminile come ad una realtà nuova con specifiche peculiarità. La donna migrante da invisibile e passiva diventa protagonista attiva della vita sociale ed economica, il suo ruolo cambia, ma l’invisibilità in parte resta. Una triplice invisibilità: perché donna, migrante e segregata in casa; perché dentro un mercato del lavoro complesso e particolare; perché gli studiosi e i mass media non la vedono e questa donna non esiste nella percezione dell’opinione pubblica.

Le migranti scontano lo svantaggio di essere donna, più debole, più fragile, più vulnerabile, quindi discriminata a vari livelli, ma gli studi sull’evoluzione delle migrazioni dicono anche che la donna migrante è dotata, rispetto agli uomini migranti, di una maggiore capacità di innovare, di trovare risorse e soluzioni, e di fare ‘rete’4. Marginalizzate, escluse ma fortemente presenti nel lavoro domestico e di cura, capaci di risparmiare e di inviare rimesse, abili nel tessere legami tra tradizione e cambiamento5. Un fatto è certo: l’emancipazione delle donne italiane a partire dagli anni ’70 si interseca inevitabilmente con quella delle migranti. Le donne migrano per un bisogno economico, ma anche per fuggire da discriminazioni e guerre; migrano al seguito di un uomo o da sole, magari per ricongiungersi alla famiglia6. Le donne che migrano si caratterizzano per un forte protagonismo sociale: mantengono i legami con la propria terra d’origine, ma sanno tessere nuovi legami nel paese di approdo, sono donne con competenze lavorative e culturali capaci di attuare strategie di adattamento alle diverse situazioni che di volta in volta devono affrontare. La prima generazione di immigrate ha realizzato progetti migratori di lunga durata e ha potuto costruire forti reti sociali; la seconda generazione, anche a causa di leggi fortemente restrittive sull’immigrazione, è costituita da donne più irregolari, che lavorano clandestinamente e più deboli.




L’Italia, che per oltre un secolo è stata un paese di forte migrazione, assiste a partire dagli anni ’70 alla comparsa dei primi flussi migratori in cui le donne sono presenti in modo massiccio da subito7. Fino a quel momento erano state le donne del Meridione a migrare nelle Regioni del Centro e del Nord Italia che trovavano impiego come domestiche a tempo pieno nelle famiglie medio-borghesi. Poi tutto cambia: la famiglia, la società, il lavoro, l’economia.

Le prime ad arrivare nel nostro Paese, grazie anche all’intermediazione della Chiesa, sono le Filippine e le Capoverdiane negli anni ’70. Sono le pioniere, le prime breadwinner (colui/colei che porta il pane a casa), cattoliche, miti, arrivate ‘sole’, hanno trovato facilmente impiego nel settore domestico per la crescente richiesta da parte delle famiglie italiane. Negli anni ’80 è la volta delle donne fuggite dai Paesi africani e medio-orientali in guerra. Le donne musulmane, che si notano di più perché portano il velo, arrivano negli anni ’90 per ricongiungersi al coniuge immigrato anni prima. In quegli anni si verifica un ulteriore cambiamento nel panorama sociale: si chiede meno lavoro domestico, per lo più a ore, e più lavoro di cura per bambini e anziani. Cade la cortina di ferro e negli anni 2000 arrivano dai Paesi dell’Est moltissime donne: di pelle bianca, non musulmane, istruite. Migrano da sole: gli studiosi parlano di “trapianto di cuore globale” perché queste migranti lasciano i mariti e i figli a casa e accudiscono i nostri figli e i nostri anziani. Sono tante, ma presenti nell’invisibilità. Esplode il fenomeno del ‘badantato’, caratterizzato da salari bassi e condizioni di lavoro difficili. Il lavoro di cura diventa una trappola perché non c’è progressione di carriera e le donne migranti guadagnano meno degli uomini migranti impiegati in altri settori.

La donna migrante in molti casi è l’unico breadwinner all’interno del suo nucleo familiare e ormai numerosi studi confermano che le migranti mandano a casa più soldi degli uomini, contribuendo con le loro rimesse non solo a mantenere i familiari rimasti a casa ma a sostenere l’economia del paese d’origine8. Le rimesse dei migranti a livello mondiale ammontano a oltre 230 miliardi di dollari, il motore di questo flusso di capitali è costituito dalle donne9.

Le donne migranti sanno costruire più degli uomini ‘reti’ organizzate10, numerose sul territorio italiano, al­l’interno delle quali mettono in campo le loro competenze lavorative e conoscenze culturali, ma anche organizzative, progettuali e relazionali. La migrante inventa percorsi nuovi di vita e molteplici strategie di adattamento alle diverse situazioni che si trova a dover affrontare, contribuendo a trasformare e a dare un senso all’esperienza migratoria, mantenendo legami con le proprie radici, ma arricchendo il nuovo contesto socioculturale di vita.




Hanno collaborato alla realizzazione di questo contributo:

Nadia Bonora, pedagogista ed ex docente alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Bologna Alma Mater Studiorum

Giovanna Vingelli, psicologa presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali all’Università della Calabria; docente di Genere e Sviluppo; direttrice del Centro Women’s Studies “Milly Villa” dell’Università della Calabria

Note

1. United Nations. International Migration Report 2017. Disponibile online al seguente indirizzo http://www.un.org/en/development/desa/population/migration/publications/migrationreport/docs/MigrationReport2017.pdf.

2. Dati Eurostat 2017.

3. UNFPA Annual Report 2006. https://www.unfpa.org/publications/unfpa-annual-report-2006 . Lo United Nations Population Fund è stato istituito nel 1969 ed è l’organo centrale delle Nazioni Unite per le questioni sulla popolazione.

4. UNFPA Annual Report 2015.

5. Gamberi C, Maio MA, Selmi G. Educare al genere. Riflessioni e strumenti per articolare la complessità. Roma: Carocci, 2010.

6. Le migrazioni in una prospettiva di genere. Corso UNICEF 2017 – Università della Calabria.

7. Elia A, Fantozzi P (a cura di). Tra globale e locale. Esperienze e percorsi di ricerca sulle migrazioni. Soveria Mannelli (Cz): Rubettino Editore, 2013.

8. Indagine IRES-ACLI 2007: Il Welfare fatto in casa.

9. Rapporto UNFPA 2006

10. Frias ML. Migranti e native: la sfida di camminare insieme. In: Donne, migrazione, diversità la sfida di oggi e domani. Roma: Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2002.