Il valore aggiunto della differenza di genere nelle professioni sanitarie

La medicina di genere specifica supera il concetto di medicina neutra uguale per tutti e si prefigge di garantire la miglior appropriatezza dei trattamenti sanitari in ambito di prevenzione, diagnosi, terapia e riabilitazione. Costituisce uno strumento di clinical governance che ad oggi ha focalizzato l’attenzione quasi esclusivamente sulle peculiarità legate al sesso e al genere del soggetto malato.

Un aspetto che probabilmente la medicina di genere specifica non prevedeva di dover valutare e valorizzare è rappresentato dal genere dei medici: un altro elemento determinante che si inserisce nella complessità dei percorsi di cura. Così come la medicina non può essere praticata in modo neutro, uguale per tutti, anche il ruolo professionale del medico non è neutro dal punto di vista del genere. Pertanto tale branca trasversale del sapere sanitario deve allargare il suo orizzonte conoscitivo e di studio prendendo in considerazione anche le caratteristiche intrinseche, legate al genere di chi eroga la prestazione sanitaria.

L’influenza del sesso-genere del medico sulla sua performance è un argomento ancora largamente misconosciuto e inesplorato, in particolar modo per quanto concerne la gestione degli aspetti comunicativi, degli outcome di salute del paziente e, più in generale, della qualità dell’assistenza sanitaria. Per tradizione l’ars medica si è avvalsa di un modello professionale quasi unicamente maschile, disconoscendo il ruolo che il sesso-genere svolge anche nell’esercizio della professione medica. Oggi la presenza delle donne medico è in forte aumento e il sorpasso è già avvenuto in quasi tutte le specializzazioni, in maniera sorprendente anche in quelle che risentivano di una connotazione tipicamente maschile, come le branche chirurgiche.

La “femminilizzazione” delle professioni mediche è divenuta in tutto il mondo occidentale un’importante realtà, che sta cambiando il volto della medicina moderna. Pertanto i processi di prevenzione, diagnosi e cura risentiranno di una sanità dal volto nuovo, praticata e organizzata con uno sguardo maggiormente femminile. Tale realtà potrebbe segnare una svolta foriera di un cambiamento professionale significativo dei processi di cura1-3. Questo fenomeno ha indirizzato molti ricercatori a focalizzare l’attenzione su come il determinante genere possa influenzare e modificare la vita professionale e l’agire dei medici, siano essi donne o uomini.

Indagare come la valenza “genere” possa modificare l’operato del professionista sanitario diventa quindi obiettivo imprescindibile anche in considerazione della scarsa letteratura presente. Valutare ed esplorare il valore aggiunto della differenza di genere degli operatori sanitari può sicuramente aiutare a rispondere efficacemente alle aspettative e ai bisogni del singolo paziente con la consapevolezza che non è più possibile non considerare il determinante “genere” come un aspetto valoriale in grado di migliorare il rapporto medico-paziente. Nel setting della cura si fa riferimento a quattro diadi: paziente donna-medico uomo, paziente uomo-medico donna, paziente donna-medico donna, paziente uomo-medico uomo. Esse si diversificano per varie caratteristiche: stili, modalità di comunicazione e di accoglienza, aderenza alle prinicipali linee guida, somministrazione di farmaci, prescrizione di indagini clinico-strumentali, vissuto della malattia. In particolare l’attenzione è stata focalizzata sulle differenze nella comunicazione medico-paziente, sulle procedure diagnostiche e sulla prescrizione terapeutica.

I dati della recente letteratura hanno evidenziato come i medici donne e uomini differiscono nella gestione dei processi di cura, sia per quanto attiene il “communication style” sia per quanto attiene i “technical skills4-5.

Le cosiddette abilità tecniche fanno riferimento agli aspetti professionali e, in tale contesto, le donne medico aderiscono maggiormente alle linee guida e utilizzano di più la evidence-based medicine, mentre gli uomini prescrivono più indagini strumentali e un maggior numero di farmaci. In particolare è stato osservato che i farmaci sedativi sono maggiormente prescritti da medici di sesso maschile a pazienti di sesso femminile. Nell’ambito degli stili di comunicazione, la centralità del paziente nei processi comunicativi viene definita, in letteratura, come la migliore modalità di approccio medico-paziente e implica alti livelli di cura e di condivisione6. Già Socrate nel V secolo prima di Cristo affermava che “la comunicazione tra medico e paziente è uno strumento terapeutico efficace quanto o forse di più di una compressa”.

Una comunicazione efficace può influenzare direttamente anche i risultati clinici, esercitando un’influenza positiva non solo sulla salute del paziente dal punto di vista emotivo, ma anche sulla risoluzione dei sintomi, sullo stato funzionale e fisiologico. In altri termini la comunicazione può incidere direttamente anche sulla prognosi, dal momento che assolve soprattutto tre importanti funzioni: trasmissione delle informazioni, riconoscimento delle emozioni del paziente, raggiungimento degli obiettivi diagnostico-terapeutici. Uno stile di comunicazione che predilige la presa in carico del paziente si propone di creare e mantenere un buon rapporto con il paziente stesso e si basa anche sul calore umano, sull’empatia, sull’interesse e sul desiderio di aiutare. Uno stile di comunicazione che attua la condivisione dei processi di cura con il paziente si fonda su un linguaggio semplice, privo di utilizzo di termini tecnici, sulla condivisione degli argomenti da affrontare durante le visite, sull’uso di domande aperte, sull’ascolto e anche sull’assenza di interruzioni. Il paziente si sente più soddisfatto se il medico adotta uno stile comunicativo di presa in carico, aderisce maggiormente alle cure e affronta positivamente le conseguenze della malattia. Infatti questo tipo di atteggiamento professionale risulta rassicurante, empatico, cortese e maggiormente condivisibile. Di fronte ad uno stile comunicativo, in cui prevale l’approccio paternalistico, “high-dominance”, privo di condivisione, il paziente viene inibito, parla di meno e fornisce meno notizie anamnestiche con il rischio di compromettere l’aderenza alle cure.

Le modalità comportamentali sovradescritte differiscono significativamente tra medici uomini e donne.

Le donne medico utilizzano una maggior modulazione dei pattern comunicativi verbali, adottano un approccio empatico e solidale e dedicano ampia attenzione all’emotività del paziente. Le donne medico offrono supporto emotivo, incoraggiamento e rassicurazione, servendosi di un tono di voce più pacato e amichevole e del linguaggio non verbale del corpo. Si avvalgono maggiormente del contatto fisico, riducendo la distanza interpersonale e spesso mantenendo le braccia aperte proprio per sottolineare il loro senso di accoglienza nei confronti del paziente. Dal loro comportamento traspare, inoltre, una maggiore capacità di ascolto che si concretizza attraverso semplici gesti come annuire, fissare lo sguardo o emettere suoni onomatopeici, che denotano un certo interesse alla conversazione e all’ascolto del soggetto malato. Le donne medico informano maggiormente i loro pazienti sui fattori di rischio e su appropriati stili di vita, controllano di più il peso corporeo nelle donne e la pressione arteriosa nei pazienti di sesso maschile. Le donne medico sanno condividere anche le opzioni terapeutiche con i loro pazienti e a fine visita sono solite chiedere se i pazienti stessi hanno dubbi da risolvere o domande da fare, ottenendo risultati migliori dei loro colleghi maschi.

Queste diverse modalità professionali hanno consentito di valorizzare la centralità del paziente e di migliorare i processi di cura, aumentando significativamente la compliance delle terapie, la soddisfazione e gli outcome di salute dei pazienti stessi4. Per contro, la condivisione dei processi di cura comporta tempi di consultazione più lunghi. Infatti, le visite mediche condotte dalle donne durano in media alcuni minuti in più rispetto alle visite condotte dai medici uomini, anche se da uno studio è emerso che sia i medici donne sia i medici uomini fanno fatica a rapportarsi con i pazienti maschi soprattutto perché a differenza delle pazienti donne hanno meno dimestichezza con gli ambulatori e le strutture sanitarie in generale.

La diade che sembra beneficiare maggiormente del tempo di comunicazione medico-paziente è quella dello stesso sesso. La disponibilità delle donne medico ad intavolare una conversazione anche con risvolti sociali autorizza i pazienti ad interromperle più spesso rispetto ai colleghi uomini, che invece mantengono uno stile comunicativo incentrato su temi strettamente scientifici. Tale atteggiamento diventa più assertivo nei confronti di donne medico giovani, che incontrano serie difficoltà nel riuscire a conquistare la stima del paziente maschio. Le pazienti donne invece pretendono maggiori rassicurazioni, capacità ed esperienza. Inoltre, si soffermano maggiormente su temi psicosociali e forniscono spontaneamente dettagli sulla propria salute, sulla propria malattia e sulle eventuali possibilità di cura7-10. A questo proposito Tannen, in un suo studio, definisce lo stile comunicativo maschile come “report talk”, basato sullo scambio di informazioni medico-scientifiche, e quello femminile come rapport talkbasato sulla costruzione di un rapporto bilaterale, che mira a stabilire la condivisione del processo di cure11.

Le donne medico sembrano instaurare un rapporto di cura basato sull’incoraggiamento e sulla lowered dominance”, principalmente centrato sui bisogni di salute del paziente. Declina quindi il paternalismo medico, cioè l’atteggiamento prevalentemente autoreferenziale dei medici, e prevalgono il rispetto per la capacità di autodeterminazione del paziente nella relazione medico-paziente e la collaborazione attiva (partnership). In tale contesto le donne medico sembrano meglio equipaggiate per soddisfare i requisiti di una medicina centrata sul paziente, perché riducono maggiormente l’asimmetria tecnico-scientifica esistente tra il soggetto malato e il soggetto deputato ad erogare la prestazione sanitaria. Il malato, in tale modello, non viene collocato in un’area di deresponsabilizzazione, ma al contrario diventa soggetto attivo e partecipe nella condivisione del suo percorso di cura12. Ne consegue che i medici dovrebbero praticare la cosiddetta alleanza terapeutica, individuando e condividendo con il paziente il miglior trattamento sanitario di presa in carico della persona.

A fronte di quanto precedentemente descritto, emerge che non è più possibile trascurare il genere come determinate non solo dello stato di salute e di malattia, ma anche come aspetto valoriale in grado di influenzare e modificare l’agire medico in tutte le discipline sanitarie. In quest’ottica la medicina di genere specifica può essere anche considerata come prospettiva a valenza medico-metodologica13-14. Non si tratta più solo di curare in maniera appropriata e differente una stessa malattia che affligge un uomo o una donna, ma di valorizzare e riconoscere procedure professionali differentemente legate al genere di appartenenza del medico15. Il genere è un aspetto valoriale che rende il ruolo professionale del medico non più neutro o unisex, influenzando l’agire metodologico e le modalità di comunicazione e di scambio tra medico e paziente16. Esplorare quindi le differenze di genere di coloro che sono chiamati a garantire ed attuare in maniera appropriata i processi di cura deve diventare un obiettivo imprescindibile degli ambiti di ricerca clinica.

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Franca Di Nuovo1,2, Monica Onorati2, Marta Nicola2, Marina Cassoni3

1. Past President Comitato Unico di Garanzia Asst Rhodense, Garbagnate Milanese, Milan;

2. Pathology Unit Asst Rhodense, Garbagnate Milanese, Milan;

3. Psychologist and psychotherapist, Consultant at Asst Rhodense, Garbagnate Milanese, Milan, Italy