Medicina di genere: è legge in Italia

Un risultato eccezionale, così gli addetti ai lavori hanno definito l’arrivo nel nostro paese di una legge sulla medicina di genere. Il cosiddetto DDL Lorenzin è stato approvato al Senato, dopo un intenso lavoro che ha visto coinvolti personaggi delle istituzioni e della sanità, il 22 dicembre 2017. Poi, quasi a fine legislatura, l’arrivo di un’altra novità, destinata ad aprire le porte in maniera definitiva alla medicina di genere in Italia: la proposta di legge sulla medicina di genere, di cui è stata prima firmataria la deputata Paola Boldrini componente della Commissione Affari Sociali, è stata trasformata proprio per esigenze di fine legislatura in emendamento, inserito come articolo 3 (Applicazione e diffusione della medicina di genere nel Servizio Sanitario Nazionale) nel DDL Lorenzin allo scadere del mese di luglio 2017, e approvato da Camera e Senato con entrata in vigore del provvedimento il 15 febbraio 20181.

Per la prima volta è garantito in Italia che la medicina venga orientata al genere in tutte le sue applicazioni a livello nazionale sia nella sperimentazione clinica dei farmaci (art. 1) sia in tutto il percorso clinico-diagnostico (art. 3). In particolare, l’articolo 3 denominato “Applicazione e diffusione della medicina di genere nel Sistema Sanitario Nazionale”, altro non è che la sintesi della proposta di legge 3603/2016.

Si è trattato di un iter veloce, che non tutte le proposte di legge hanno la fortuna di avere. Ma dietro si cela un impegno e una determinazione costanti, messi in atto per raggiungere tale obiettivo che rappresenta un risultato inedito nel panorama giuridico nazionale ed europeo.

Un obiettivo al quale ha lavorato freneticamente e in sinergia con il lavoro di molte altre persone Paola Boldrini, convinta fermamente della necessità di una legge nazionale in grado di aiutare a superare le autonomie dei servizi sanitari regionali, così da permettere l’applicazione e la diffusione della medicina di genere, dando per acquisito che riconoscere le differenze sessuali e di genere nella ricerca, diagnosi, prevenzione e cura rappresenti un‘evoluzione ormai ineludibile.

La legge è un punto fermo che rappresenta equità e appropriatezza nell’assistenza, nel pieno rispetto del diritto alla salute, in base all’articolo 32 dettato dalla Costituzione. Il Ministero della Salute si impegna nella realizzazione di un Piano volto alla diffusione della medicina di genere mediante divulgazione, formazione e indicazione di pratiche sanitarie che nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura tengano conto delle differenze derivanti dal genere al fine di garantire la qualità e l’appropriatezza delle prestazioni erogate dal SSN in modo omogeneo sul territorio nazionale.

Cosa accadrà adesso? Il Ministero della Salute dovrà predisporre due propri decreti applicativi: l’uno, a comporre il Piano per la diffusione della medicina di genere, avvalendosi del Centro nazionale di riferimento per la medicina di genere dell’Istituto Superiore di Sanità, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra Stato e Regioni; l’altro, che dovrà definire, insieme al MIUR, il Piano Formativo Nazionale volto a garantire la diffusione della conoscenza delle differenze di sesso e di genere nella ricerca, prevenzione e cura.

Il tutto dovrà essere predisposto e attuato entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge. Il fatto di dover predisporre due decreti non è un ostacolo e non dovrà spaventare, secondo Paola Boldrini, in quanto sono già in essere diverse applicazioni sperimentali, attive e diffuse sul territorio nazionale e si potrà fare riferimento ad esse per redigere i testi necessari e sveltire in tal modo l’iter dei decreti stessi. Un esempio, per ciò che riguarda la formazione universitaria, è la Conferenza Permanente dei Presidi dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia che, in linea con il testo dell’originaria proposta di legge sulla medicina di genere, nel dicembre 2016 ha condiviso all’unanimità una mozione da cui è scaturito il progetto pilota che vede l’applicazione di insegnamenti attenti alle differenze di sesso e di genere, già dal corrente anno accademico 2017-2018.

Dunque, risultati davvero importanti se si pensa che da oltre vent’anni si parlava della necessità di una legge in materia di medicina di genere. I decreti attuativi sono in preparazione. Alcune cose sono già in atto e il sistema innovativo imposto da questa legge dovrà andare di pari passo con i nuovi piani sanitari. A questo si aggiunge il nascente Osservatorio sulla medicina di genere che sarà coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità e sarà lo strumento in grado di effettuare attività di controllo e raccordo su quanto accade in ambito sanitario per la medicina di genere.

In questo numero presentiamo contributi davvero interessanti anche sotto il profilo più squisitamente sociale. Nell’articolo Gender differences in three African societies: effects on health managment, il chirurgo Piero Narilli della Sapienza di Roma, racconta le iniziative intraprese in Africa per far fronte all’emergenza sociosanitaria e da lui vissute in prima persona, come le missioni umanitarie “Ridare la Luce”, finalizzata alla cura della cataratta, patologia che affligge gran parte della popolazione riducendola alla cecità, e “4 Stelle per l’Uganda”, in collaborazione con le Forze armate, che prevede programmi di visite, interventi di chirurgia generale, endoscopica, ginecologica, ortopedica e analisi di laboratorio. Le differenze di genere assumono una connotazione del tutto diversa in paesi come Uganda, Mali e Libia, dove le condizioni di estrema povertà e la componente religiosa impattano sui percorsi di assistenza e cura della popolazione, costretta per motivi economici a ricorrere alla medicina cosiddetta ‘tradizionale’2.

Emorragia cerebrale e donne è il tema affrontato da Valentina Arnao, Marta Fedele, Riccardo Altavilla e Valeria Caso in Conventional vascular and specific risk factors for intracerebral hemorrhage in females. L’emorragia cerebrale, responsabile del 10-15% di tutti i casi di ictus, si associa a elevati tassi di mortalità e disabilità. Età avanzata, ipertensione arteriosa, angiopatia amiloide, tabagismo e consumo di alcolici sono fattori di rischio che accomunano donne e uomini. Tuttavia, ancora oggi, sono stati condotti pochissimi studi tesi a valutare i fattori sesso-specifici correlati a tale patologia. I dati disponibili al momento lasciano presupporre che la gravidanza e la sindrome cerebrale da vasocostrizione possano correlarsi ad un maggiore rischio di emorragia cerebrale nelle donne. Tuttavia saranno necessari ulteriori studi prospettici su ampie popolazioni per comprendere il reale impatto di questi fattori e sviluppare strategie adeguate di trattamento e prevenzione3.

The role of gender in Parkinson’s disease, di Marina Picillo, Alessandra Nicoletti, Vincenza Fetoni, Barbara Garavaglia e Maria Teresa Pellecchia, esamina il ruolo delle differenze di genere, riconosciuto ormai come rilevante dalla ricerca biomedica nell’influenzare il rischio per lo sviluppo di malattie neurodegenerative. Nel presente lavoro sono state raccolte le evidenze disponibili circa le differenze di genere nella malattia di Parkinson, con un focus sulla gravidanza nella donna parkinsoniana. Le donne vengono connotate per avere un ‘fenotipo più benigno’ all’esordio di malattia ma presentano anche un rischio maggiore di sviluppare con il tempo complicanze legate ai trattamenti rispetto agli uomini. È forse giunto il momento di riconsiderare il concetto di ‘fenotipo più benigno’ nelle donne con Parkinson?4

Genere e malattie endocrine è il focus della review scritta da Rosa Lauretta e Marialuisa Appetecchia, dell’Istituto Nazionale dei Tumori Regina Elena IRCCS Roma, e Massimiliano Sansone e Francesco Romanelli, della Sapienza Università di Roma, dal titolo Gender in endocrinological disease: biological and clinical differences. Il sesso influenza la fisiologia dei corpi di maschi e femmine così come lo sviluppo delle malattie. Il ruolo chiave è giocato in tal senso dagli ormoni sessuali, in particolare gli estrogeni, capaci di attivare molteplici meccanismi biologici, che sono alla base della diversità fisiopatologica di uomini e donne. Nello studio gli autori si concentrano proprio sugli effetti che gli ormoni sessuali hanno rispetto alle differenze di genere in endocrinologia. Non solo, malattie altamente diffuse tra la popolazione rispondono a diversità di genere, ma lo stesso metabolismo basale è fortemente influenzato dagli ormoni sessuali. Le evidenze scientifiche mostrano, inoltre, l’effetto di tali sostanze anche nella patogenesi delle malattie endocrine autoimmuni e, non ultimo, nella risposta alle terapie e all’efficacia delle stesse5. Rosy Musumeci e Manuela Naldini dell’Università di Torino, nell’original article Parenting in Italy: exploring compliance and resistance to the expert-led parenting model during the transition to parenthood, esplorano il grande tema della genitorialità. Protagoniste le narrazioni di 22 coppie italiane eterosessuali di ceto medio e doppio reddito, raccolte tra il 2010 e il 2015 a Torino, prima della gravidanza e dopo 18 mesi dalla nascita del primogenito, per un totale di 88 interviste longitudinali. La ricerca indaga il ruolo delle conoscenze scientifiche e di specialisti perinatali e dell’infanzia sulla definizione delle nozioni e degli standard di ‘buona’ e adeguata genitorialità. Questo, attraverso un’analisi delle idee e credenze sul ruolo dei genitori, che si rileva estremamente importante nell’influenzare non solo l’erogazione dei servizi di assistenza genitoriale ma anche gli obiettivi di policy che si intendono perseguire6.

Rita Biancheri, Annalaura Carducci e Rudy Foddis, dell’Ateneo pisano, insieme ad Antonella Ninci e Chiara Breschi, dell’INAIL, nella review Positive strategy for gender differences for integration in risk assessment, suggeriscono di applicare la prospettiva di genere in relazione alla salute e sicurezza sul posto di lavoro utilizzando precisi e concreti strumenti in ogni area produttiva. Scopo raggiunto dall’articolo, che colma un vuoto importante in questo specifico ambito di studio. Le ricercatrici focalizzano l’attenzione anche sulla prevenzione in un’ottica di integrazione. Riguardo alle differenze di genere nella valutazione del rischio, l’approccio si è basato tradizionalmente su fattori biomedici, mentre lo studio è a favore del più ampio concetto multidimensionale di salute. È tempo che le vecchie metodologie lascino il posto alla declinazione di fattori psicologici, sociali e culturali. Lo studio apre a nuovi ambiti di ricerca e a nuovi modelli sperimentali validati7.

Luca De Fiore de Il Pensiero Scientifico chiude questa carrellata di contributi con la perspective Toward a gender-oriented scientific communication. La comunicazione scientifica subisce ancora fin troppi condizionamenti legati al genere. Nonostante l’incremento del numero di donne medico e dell’ancor più elevato numero delle donne che si iscrivono alla Facoltà di medicina, si è ben lontani da una concreta parità di diritti tra ricercatrici e ricercatori in ambito medico-scientifico. Non v’è dubbio che l’obiettivo da raggiungere sia arduo e che debba articolarsi su più fronti. L’universo maschile anche nell’ambito della medicina accademica e nella produzione e divulgazione della ricerca è in una posizione di enorme vantaggio. Un dato per tutti: nel 2006 negli Stati Uniti solo un quarto del corpo docente universitario era rappresentato da donne; una titolare di cattedra guadagnava il 20% in meno del collega maschio. Pochi gli articoli a firma di donne, poche le prime firme femminili, molti gli ostacoli che frappongono alla carriera delle donne, non ultimo la maternità. De Fiore commenta con condiviso senso di amarezza come la strada verso l’equità sia ancora molto lunga8.

Bibliografia

1. Boldrini P. Approvata la legge: finalmente arriva la medicina di genere. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 128-9.

2. Narilli P. Gender differences in three African societies: effects on health management. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 92-7.

3. Arnao V, Fedele M, Altavilla R, Caso V. Conventional vascular and specific risk factors for intracerebral hemorrhage in females. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 98-103.

4. Picillo M, Nicoletti A, Fetoni V, Garavaglia B, Pellecchia MT. The role of gender in Parkinson’s disease. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 104-8.

5. Lauretta R, Sansone M, Romanelli F, Appetecchia M. Gender in endocrinological disease: biological and clinical differences. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 109-16.

6. Musumeci R, Naldini M. Parenting in Italy: exploring compliance and resistance to the expert-led parenting model during the transition to parenthood. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 117-20.

7. Biancheri R, Carducci A, Ninci A, Breschi C, Foddis R. Positive strategy for gender differences for integration in risk assessment. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 121-3.

8. De Fiore L. Toward a gender-oriented scientific communication. Ital J Gender-Specific Med 2017; 3: 124-7.

Mariapaola Salmi

Editor in Chief

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