Genere e religioni: prospettive sul passato e sul presente

Isabella Crespi

Università di Macerata

Il seminario Genere e religioni: prospettive sul passato e sul presente è il secondo evento organizzato all’interno della Convezione Genere e Religioni, a cui ha aderito anche l’ateneo di Macerata a partire dal 2017. La convenzione è stata formalizzata con la partecipazione di 30 atenei e circa 25 soggetti sul territorio italiano e sarà attiva fino al 2019. Lo scopo della convenzione è quello di favorire, sostenere e sviluppare, attraverso la cooperazione interuniversitaria a livello nazionale e internazionale, ricerche e studi (interdisciplinari e interreligiosi) sull’intreccio tra genere, religioni, religiosità.

Svoltosi il 28 novembre 2018, il seminario ha posto al centro del dibattito il tema delle differenze di genere e delle religioni, attraverso uno sguardo multidisciplinare, o meglio transdisciplinare, e in una prospettiva che abbraccia passato e presente per riflettere sul futuro.

I diversi contributi in programma hanno spaziato dalla filosofia alla medicina, dalla storia alla sociologia e alla teologia, in un intreccio di prospettive, a volte lontane, ma accomunate da un interesse di riflessione e di confronto. Tali relazioni hanno aperto una finestra su temi di attualità che nascono però da tradizioni lontane.

Il contributo di Serena Noceti, del Movimento Teologhe femministe, dal titolo Le donne e la Chiesa: uno sguardo sull’attualità, ha ripercorso in modo puntuale alcune tappe fondamentali del processo di trasformazione del tema della donna e del femminile nella teologia cattolica attraverso alcuni decenni, mettendo in evidenza soprattutto i nodi fondamentali della dimensione pubblica, della parola, del potere e della rappresentanza come snodi per la rilevanza femminile all’interno della Chiesa. Donatella Pagliacci, nella sua discussione sul testo, ha sottolineato inoltre il tema della cittadinanza di genere e dell’importanza della partecipazione attiva delle donne nella vita pubblica della Chiesa, nelle diverse forme che sono di volta in volta storicamente possibili.

Il punto di vista dei giovani sull’attualità e sul loro rapporto con la dimensione religiosa è stato introdotto dalla relazione di Isabella Crespi, Giovani, religione e differenze di genere: i risultati da una indagine sui giovani maceratesi, discussa da Maria Letizia Zanier. La sua ricerca ha visto la partecipazione di oltre 2000 studenti dell’ateneo di Macerata e di tutti i corsi di laurea e i primi risultati sono stati presentati in occasione del seminario. All’interno del panorama sul rapporto tra genere e religiosità, il tema della socializzazione religiosa dei giovani è di rinnovato interesse, a fronte di una lunga assenza dal dibattito e dagli studi religiosi. La riflessione sulla socializzazione religiosa si è intrecciata, negli ultimi decenni, con il mutamento dei ruoli e degli stereotipi di genere e con la crescente emancipazione femminile. I dati evidenziano che siamo di fronte a un mutamento nei rapporti tra religione e società, e, allo stesso tempo, ad una domanda di bisogno religioso da parte delle nuove generazioni che non segue più necessariamente percorsi socializzativi vincolati e scanditi dalla famiglia o dall’associazionismo. In tutti questi ambiti la religione, e in particolare quella cattolica nel contesto italiano, sembra aver mancato un rinnovato patto generazionale e di genere e la secolarizzazione appare più marcata tra le giovani generazioni anche a fronte di una appartenenza religiosa costante dei genitori. In particolare sono i giovani uomini a sembrare maggiormente in crisi a testimonianza di un’inversione di tendenza seppur in parallelo con una calo della religiosità anche tra le giovani. Nonostante la situazione sostanzialmente positiva e favorevole al persistere di un modello religioso cattolico di prevalenza (ma pur sempre di minoranza), il peso della disaffezione giovanile è molto elevato, anche di fronte alla presenza di percorsi socializzativi di vario tipo e incerti che spesso non hanno poi un esito confermativo della religiosità da adulti. Si pone l’interrogativo di quale sia il futuro e quale peso avrà il cambiamento generazionale che vede una disaffezione giovanile dalla religiosità in costante crescita.

Il rapporto tra genere e religioni è stato presentato anche in relazione al tema della salute e della medicina. Walter Malorni ha descritto nel dettaglio l’impegno dell’Istituto Superiore di Sanità nella diffusione della medicina genere-specifica illustrando come la ricerca gender-specific apra nuove e importanti riflessioni sul modo di intendere sia la sperimentazione ma anche la prassi medica e, non ultime, le politiche sanitarie. In particolare un approccio di medicina di genere-specifica mette in risalto la necessità di considerare una particolare attenzione alle differenze biologiche e alla dimensione corporea, che inevitabilmente rischia di trascurare il lato femminile soprattutto nella sperimentazione e nella cura. Altro tema rilevante in medicina nel rapporto tra i generi è la dimensione dell’appartenenza religiosa dei pazienti, che a volte può causare delle difficoltà nella prassi medica (dall’anamnesi, al riconoscimento dei sintomi, alla somministrazione di cure o pratiche mediche) poiché uomini e donne, in situazioni diverse, rifiutano o non accedono alle cure per differenze e incomprensioni cultural-religiose. Ines Corti nel suo intervento come discussant ha posto l’attenzione sul tema dei diritti universali e sul loro rapporto con diritti culturali diversi da quelli condivisi nella pratica medica di culture differenti. Come affrontare dunque il problema in una società multiculturale?

Il punto di vista filosofico è stato esposto da Daniela Verducci attraverso la presentazione del caso di Dio nella fenomenologia della religione al femminile di A.T. Tymieniecka. La filosofa, nella sua intensa e tormentata vita di donna in relazione con il mondo cattolico, che più volte mette in discussione il suo rapporto con papa Wojtyla per il semplice fatto che lei è una filosofa donna, trasforma questa relazione in un incidente religioso che la spinge a riflettere sulla condizione della donna e sul parlare di Dio al femminile a partire da una fenomenologia della persona nel suo agire. Nella discussione a cura di Mina Sedhev viene sottolineato il tema della fenomenologia al femminile come un approccio che parte dalla razionalità speculativa e dal potere del maschile anche nel linguaggio.

Il contributo di Amanda Rosini (McGill University, Montreal, Canada), The lack of sexual categorization and the assumptions of gendering in the hebrew Bible, ha focalizzato il tema dell’interpretazione della figura femminile e dei ruoli di genere nella religione ebraica. Per diversi decenni gli studiosi femministi hanno cercato di identificare i costrutti sociali che modellano e definiscono le categorie di ciò che è inteso come ‘maschile’ e ‘femminile’. Tuttavia, nella loro ricerca per comprendere le categorie generate attraverso il genere, gli studiosi biblici femministi sono giunti a enfatizzare le categorie di genere come ruoli performativi, cioè come atti, norme e convenzioni associati alla maschilità e alla femminilità. Quindi, all’interno della letteratura biblica il genere è spesso un’identità eseguita, sovrapposta ai personaggi della narrativa, e deve essere considerata distinta dal reale genere biologico. Se questo è davvero il caso, gli studiosi della Bibbia, usando la teoria femminista riguardante l’identità performativa di genere-specifica, potrebbero ottenere una differente comprensione del ruolo della donna.

Il contributo di Roberto Lambertini, discusso da Francesca Bartolacci, si è focalizzato su Marsilio da Padova e Guglielmo d’Ockham, senz’altro tra i più noti teorici politici che, nella prima metà del Trecento, si sono opposti alle teorie che sostenevano la teocrazie papale. Interrogati in una prospettiva di genere, si differenziano in modo significativo perché il primo, in modo molto omogeneo con le concezioni prevalenti nella sua epoca, esclude le donne da quella universitas civium da cui emana ogni potere legittimo nella comunità politica. Nell’ecclesiologia di Ockham, invece, in caso di necessità (si badi bene non in situazione ‘normale’) le donne sono titolari del diritto/dovere di difendere la vera fede, anche se tutti gli uomini fedeli, a partire dal papa, fossero contrari.

L’intervento di Elisabetta Patrizi si è focalizzato sulla storia del conservatorio femminile fondato a Roma dalla nobildonna Livia Vipereschi nel 1668. Si tratta di una delle pagine più interessanti della storia dei conservatori femminili. Quando parliamo di conservatori femminili, ci riferiamo a quelle istituzioni educative e assistenziali tipiche dell’età moderna, nate per venire incontro alle esigenze di tutela e di formazione delle donne in situazioni di difficoltà perché prive della protezione di una figura maschile (fanciulle orfane e abbandonate, ex prostitute e carcerate, vedove e malmaritate). Il caso del Conservatorio delle Viperesche è un unicum nel suo genere per la storia plurisecolare della struttura, che oggi ospita un pensionato femminile destinato alla studentesse universitarie, e per la capacità mostrata nel corso dei secoli di rimodulare la sua fisionomia senza perdere il legame con le origini. Edoardo Bressan, nei suoi commenti, ha sottolineato che lo studio condotto sul Conservatorio romano delle Viperesche consente di andare oltre al paradigma della ‘grande reclusione’ dei poveri in età moderna, inserendosi invece nella linea che legge i fenomeni del ‘disciplinamento’ al medesimo tempo sociale e religioso alla luce del rinnovamento cattolico che precede e segue il concilio tridentino, come si può cogliere fra l’altro dalla spiritualità caritativa della fondatrice e del­l’Ordine carmelitano a cui il Conservatorio era legato.

La presenza di donne e uomini di generazioni e sensibilità diverse riuniti attorno al tavolo è uno degli aspetti fortemente voluti e importanti di questa giornata seminariale, che ha visto la presenza anche di ospiti esterni che hanno desiderato portare il loro punto di vista sul tema, coniugando il punto di vista scientifico con quello dell’esperienza e dell’operatività professionali.