Verso una Medicina-Genere specifica

All’Istituto Superiore di Sanità il primo convegno del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere

Introduzione

Dal primo gennaio 2017 è stato istituito il nuovo Centro di Riferimento per la Medicina di Genere, dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), diretto dal Prof. Walter Malorni. Unico in Europa, il Centro di Riferimento per la Medicina di Genere presso l’Istituto Superiore di Sanità si prefigge tre obiettivi principali: sviluppare attività formative e divulgative dedicate alla diffusione della Medicina di Genere; sviluppare una Rete dei centri italiani che si occupano di Medicina di Genere e ampliarla a livello europeo; promuovere la ricerca per identificare e studiare le differenze tra uomo e donna non solo nella frequenza e nel modo con cui si manifestano le malattie, ma anche nella risposta alle terapie.

Come suggerito dalle molte iniziative promosse da parte di Agenzie e Istituzioni internazionali (ONU, FDA e WHO) e nazionali (Regioni, Università e Associazioni), che hanno come obiettivo la promozione della salute, l’interesse per la Medicina Genere-specifica sta crescendo nel mondo e in particolare in Italia e l’istituzione del Centro di Riferimento per la Medicina di Genere in ISS ne è un esempio.




Il Convegno “Verso una Medicina Genere-specifica” del 21-22 marzo 2017 è stata l’occasione per presentare le attività del Centro e il primo evento organizzato dallo stesso. Scopo del Convegno è stato quello di promuovere e far conoscere la Medicina Genere-specifica in tutti gli aspetti della ricerca biomedica e di discutere sulle possibili azioni politiche e sociali per favorirne l’introduzione nelle politiche sanitarie. Il Convegno ha dunque offerto una base qualificata di confronto per approfondire i fattori attraverso cui le differenze legate al sesso/genere agiscono sull’insorgenza e il decorso di molte malattie in tutte le fasi della vita dell’individuo, nonché sulla risposta alle terapie. Il convegno ha altresì voluto evidenziare che porre attenzione alle differenze di genere deve diventare una pratica standard nelle politiche sanitarie in quanto, aprendo nuove prospettive in termini di appropriatezza, efficacia ed equità degli interventi di prevenzione e cura, influenza la qualità e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), migliorandone i risultati e diminuendone i costi.

Personalità scientifiche, politico-istituzionali, personalità della società civile e delle associazioni hanno partecipato alle due giornate in cui è stato articolato il convegno

Il primo giorno del Convegno è stato dedicato alle attività istituzionali, con interventi di autorità politiche, accademiche e dell’industria allo scopo di costruire una rete inclusiva che coniughi ricerca scientifica, attività di formazione e politiche sanitarie. A seguire, ci sono stati interventi di carattere divulgativo dedicati alla nutrizione, agli stili di vita, all’impatto economico della Medicina Genere-specifica nel sistema sanitario e alla storia della Medicina di Genere da Ippocrate ai giorni nostri. Al termine della prima giornata è stato predisposto un documento di consenso (vedi pp. 37-8) scaturito dal lavoro di Tavoli tematici dedicati al territorio, alle associazioni ed ai falsi miti. Il tema di questo ultimo Tavolo è sicuramente oggi di particolare interesse per il grande pubblico, troppo spesso disorientato da infondate comunicazioni e da false notizie. Il documento di consenso costituirà la base per lo sviluppo di strategie preventive e terapeutiche genere-specifiche su tutto il territorio nazionale.

Il secondo giorno, 22 marzo, è stato dedicato alla ricerca con interventi specifici sull’epigenetica, sulle differenze di genere in pediatria e nell’invecchiamento e sulla sperimentazione preclinica che deve tenere conto delle differenze di “genere” delle cellule e degli animali da esperimento. Nel pomeriggio della seconda giornata interventi specifici sulle differenze di genere in vari settori della medicina (dall’oncologia alla pediatria, dalle malattie infettive e autoimmuni a quelle cardiovascolari e neurodegenerative) hanno sottolineato l’importanza di tenere conto del determinante genere/sesso nella cura delle pazienti e dei pazienti e la necessità di creare percorsi di prevenzione, diagnosi, terapia e assistenza che tengano conto delle differenze di genere al fine di assicurare la “centralità del paziente” e la “tutela della salute.”

L’idea è stata quella di dare un quadro generale dello stato dell’arte della Medicina Genere-specifica nella ricerca e nella pratica medica, con una attenzione agli aspetti sociali, culturali e politici, fornendo così spunti di stimolo e di riflessione perché nuove conoscenze possano essere acquisite nella ricerca scientifica, nel campo biomedico, nell’innovazione e nella pratica medica.

Panoramica degli interventi

“L’italia è un paese orgogliosamente modello: da quando nel 2006 abbiamo iniziato a parlare di medicina di genere si sono creati molti focolai di interesse differenziati: associazioni femminili, reparti ospedalieri, centri, associazioni, istituzioni. In questi anni siamo riusciti a creare una rete e un lavoro sinergico tra le diverse istituzioni”, lo assicura Giovannella Baggio (Università degli Studi di Padova), e lo dimostra la partecipazione al convegno di rappresentanti di importanti istituzioni, anche ai massimi livelli.

Politiche sanitarie e genere. Come Emilia Grazia De Biasi, Presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato, che fa notare come ormai il tema della differenza di genere dovrebbe essere acquisito nel mondo scientifico, come dovrebbe esserlo anche nel mondo istituzionale, politico e dell’organizzazione del servizio sanitario. A questo sta lavorando Paola Boldrini, membro della Commissione Affari Sociali e Salute. È la prima firmataria della proposta di legge “Disposizioni per favorire l’applicazione e la diffusione della medicina di genere”, depositata alla Camera dei Deputati nel 2016. È stato appena approvato, in commissione Affari sociali, il suo emendamento al ddl Lorenzin che prevede l’introduzione in medicina di un orientamento attento alle differenze di sesso e di genere in particolare nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura.

“Il sistema sanitario è chiamato a mettere in atto culture di genere, il che significa organizzazione dei servizi a partire da percorsi clinici assistenziali e reti ospedaliere che prevedono percorsi identificati anche sul genere”, ne è convinta Anna Maria Celesti (Centro regionale di coordinamento della Salute e Medicina di Genere; Assessorato al Diritto alla Salute | Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale – Regione Toscana) che ha raccontato come la Regione Toscana già da alcuni anni ha cercato di costruire una rete per la medicina di genere: nel 2014 è stato istituito il Centro di coordinamento regionale per la salute e medicina di genere e su tutto il territorio regionale sono stati istituiti 12 Centri aziendali di coordinamento della Salute e medicina di genere, quattro Centri delle Aziende ospedaliero-universitarie e quello della Fondazione Monasterio. Non poteva mancare l’ospite dell’iniziativa, il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Walter Ricciardi che ha sottolineato l’importanza del mainstreaming di genere, “una pratica che si prefigge di rendere la parità di genere parte integrante della tendenza dominante (mainstream) a livello sociale in modo che le donne e gli uomini possano godere degli stessi benefici. Significa prendere in esame ogni fase dello sviluppo delle politiche – progettazione, attuazione, monitoraggio e valutazione – nell’intento di promuovere la parità tra donne e uomini”. Ed è quello che sta cercando di fare, con convinzione, l’Istituto Superiore di Sanità, cercando di fornire ai politici le evidenze scientifiche. Quali le politiche sensibili al gender mainstreaming? Invecchiamento, disabilità e solitudine; alcol, fumo, prevenzione dei tumori, malattie cardiovascolari, salute mentale, farmaci: “Sono tutti campi per i quali l’ISS ha elaborato una serie di proposte, iniziative e ricerche” ha detto Ricciardi e ha aggiunto “sono sicuro che la collaborazione tra l’ISS e gli altri stakeholder, l’accademia, le società scientifiche, l’industria, professioniste e professionisti, i cittadini, possa portare all’elaborazione di un modello italiano”.




Andrea Lenzi. La formazione nei CLM in medicina sul tema della medicina di genere. Tra gli stakeholder, per la formazione, era presente Andrea Lenzi: in qualità di Presidente della Conferenza nazionale permanente dei Presidenti dei corsi di laurea di medicina e chirurgia ricorda come nel settembre 2016, nella riunione di Messina, sia stata elaborata una mozione nella quale si raccomandava a tutti i corsi di laurea di medicina e chirurgia di fare delle modifiche ordinamentali per far sì che tutti i corsi (in tutto 59) avessero all’interno l’obbligatorietà di parlare di medicina di genere. “Questo ci dà la garanzia che nell’anno accademico 2017-18 tutti i corsi di laurea saranno allineati e formeranno medici tenendo conto della dimensione del genere in tutte le discipline”.




Simona Montilla.Il ruolo dell’AIFA nello sviluppo di una farmacologia orientata al genere. Per l’Agenzia Italiana del Farmaco è intervenuta Simona Montilla, che ha esordito sottolineando come si tenda a pensare che la farmacologia di genere si occupi di “farmaci e donne”. La farmacologia di genere affronta invece un ampio numero di aspetti che si estendono dalla metodologia della ricerca, all’efficacia ed equità delle cure fino alla perdita di conoscenze e alla discriminazione sociale tra i due generi. Montilla si è poi soffermata sulla cosiddetta “cecità di genere” nell’evidenza medica (clinica), che identifica la mancanza di ricerche, analisi e pubblicazioni di dati disaggregati rispetto al sesso. Questa forma di gender-blindness è nata da una pretesa neutralità di genere, cioè dal tradizionale assunto che le differenze tra uomo e donna fossero sintetizzabili unicamente in differenze di peso corporeo unite a quelle del ciclo riproduttivo. Le evidenze suggeriscono che questo assunto è errato, profilando la necessità di disegni di ricerca e di indagine appropriati ad identificare le diversità e le problematiche connesse al genere. La farmacologia di genere intende indagare e definire, dove presenti, le differenze di efficacia e sicurezza dei farmaci con lo scopo di superare il bias di genere che ha caratterizzato in passato la ricerca farmacologica, sia preclinica sia clinica. Lo scarso arruolamento di donne negli studi sperimentali sui farmaci ha prodotto come risultato lo sviluppo di farmaci, modelli di malattia e definizione di parametri fisiologici costruiti, per lo più, sugli uomini. L’impegno dell’AIFA nella farmacologia di genere si è concretizzato nell’istituzione del gruppo di lavoro Farmaci e genere. Tra le sue iniziative, la redazione, nel 2013, di un comunicato, “Farmaci e genere”, al fine di sensibilizzare le aziende farmaceutiche che presentano dossier di registrazione di nuovi medicinali a effettuare anche l’elaborazione dei dati disaggregati per genere, in maniera tale da evidenziare le eventuali differenze. Nel documento si suggerisce anche, nell’analisi della popolazione femminile, di procedere a una stratificazione per classi di età, essendo queste ultime fonte di ampia variabilità di risposta alle terapie. 




Massimo Scaccabarozzi. L’industria farmaceutica e la farmacologia genere-specifica. A rappresentanza delle aziende farmaceutiche è intervenuto il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi: le imprese del farmaco sono accanto ai ricercatori nello sviluppo della medicina di genere. Sia nella ricerca preclinica, promuovendo lo studio in vitro su cellule di derivazione maschile e femminile e prove sperimentali in vivo su animali di entrambi i sessi; sia nella ricerca clinica, favorendo il superamento dell’atteggiamento protezionistico del passato e una adeguata partecipazione delle donne ai trial. “Ma non basta arruolare le donne nei trial clinici. Occorre anche che il disegno dello studio preveda un’analisi differenziata per genere e consideri le interazioni età-genere”, e ha aggiunto, “la dimensione di genere in salute è un parametro basilare per l’attività clinica e per garantire l’appropriatezza degli interventi terapeutici. L’inclusione del determinante ‘genere’ nella pratica sanitaria prevede una ridefinizione dei percorsi e dei processi formativi che influenzano l’organizzazione e la programmazione dell’offerta”.

Delia Colombo. Industria e medicina di genere. “Il rapporto dell’industria farmaceutica con la medicina di genere è difficile e complesso, e comporta una discussione anche di tipo economico”, lo assicura Delia Colombo, intervenuta nella triplice veste di ricercatrice, clinica e rappresentante dell’industria. Ma la situazione sta migliorando: gli studi di safety ed efficacy cominciano a essere condotti anche sulle donne: “Nella fase III siamo quasi alla parità. È nella fase I che le donne rappresentano solo il 30%, una situazione comunque migliore rispetto a periodi storici precedenti”. Quali le cause? È più difficile condurre sperimentazioni sulle donne: “Se non vengono condotti studi sulle cellule e sugli animali, non si possono inserire donne fertili negli studi di fase I. C’è un rischio potenziale per i gameti. Se poi una donna inserita in uno studio di fase I rimane incinta, questo rappresenta un problema”, fa notare Colombo, e aggiunge che costa molto anche fare la sperimentazione sull’animale femmina, perché ha un estro ogni settimana, e inoltre nessuna legge lo impone. A questo va aggiunto che negli studi clinici, riuscire ad arruolare le donne è un problema, perché non hanno mai tempo per sé stesse. Nel 2008-2009 Novartis ha iniziato a interessarsi alla medicina di genere: un interesse che si è concretizzato con lo studio Gender Attention, il primo studio prospettico condotto in un’ottica di genere. Sono stati arruolati un migliaio di pazienti con psoriasi in trattamento con ciclosporina, il farmaco con il più alto numero di pubblicazioni nel mondo, circa 80 mila. Sono stati coinvolti 50 centri dermatologici: non è emersa nessuna differenza negli effetti collaterali tra donne e uomini, ma è emersa tra donne fertili e in menopausa, con un tasso di incidenza degli effetti collaterali inferiore di circa il 33% nelle donne fertili rispetto a quelle in menopausa. L’impegno di Novartis prosegue con altre iniziative nella ricerca come il progetto MetaGem, che esegue analisi post hoc sulle differenze di genere negli studi osservazionali precedentemente condotti in diverse patologie, come lo studio Synergy sull’artrite psoriatica, e quello nei pazienti con Parkinson (wearing off), tutti in una prospettiva di genere.

Gian Paolo Dotto. Dimorfismo sessuale e cancro. Gian Paolo Dotto, del­l’Uni­versità di Losanna, ha tenuto una lectio magistralis su dimorfismo sessuale e cancro. Approfondendo l’aspetto della prevenzione del cancro, ha evidenziato quanto essa possa essere importante nel collegare la scienza con la politica. Rifacendosi a un suo studio pubblicato nel 2015 evidenzia che l’incidenza e la mortalità nel mondo di tumori che colpiscono il polmone, la cavità orale, l’esofago, la vescica, il fegato e il rene sono più elevati nell’uomo che nella donna. Anche per il melanoma esiste un dimorfismo sessuale con una maggiore incidenza e mortalità nella popolazione maschile rispetto a quella femminile. Fare ricerca sulla prevenzione secondaria significa interferire nella conversione dei tumori pre-maligni in tumori maligni. A questo riguardo Dotto ha proposto due modelli che dal punto di vista genetico-molecolare indagano su questo aspetto. Il modello cancer evolution attribuisce all’accumulo di mutazioni genetiche la causa dell’insorgenza del tumore maligno. Il modello della teoria del big bang del cancro presuppone l’esistenza di cellule normali, con mutazioni al proprio interno, che all’insorgere di cambiamenti o sollecitazioni si trasformano in tumori maligni. Si è poi soffermato sui risultati degli studi che lo hanno visto coinvolto nel­l’evidenziare le differenze genetiche delle razze e ha sottolineato la diversa suscettibilità ai diversi tumori tra la popolazione bianca e nera. Ha poi proposto un modello di potenziali interazioni tra alterazioni genetiche ed epigenetiche che possono contribuire all’insorgenza e alla progressione dei carcinomi cellulari squamosi.

Paolo Marchetti. Genere e terapia oncologica. Le differenze di genere sono profondamente sottostimate nella pratica clinica, per quanto riguarda il trattamento dei principali tipi di tumore: ne è convinto l’oncologo Paolo Marchetti, dell’AO Sant’Andrea di Roma. È necessario migliorare le conoscenze in quest’ambito per identificare le variabili che possono influenzare “la prevenzione, la scelta dei trattamenti e le loro possibili tossicità”. Tra le differenze, per esempio, quelle del tumore del colon-retto: le donne ne sono colpite in media 5 anni dopo rispetto agli uomini, sono diagnosticate più tardi e la localizzazione è più frequente nel colon destro; il tumore del polmone non a piccole cellule colpisce preferibilmente le donne non fumatrici, rispetto agli uomini non fumatori, e ciò avviene a un’età inferiore. Le donne, però, rispondono meglio alle terapie. Per quanto riguarda il melanoma, le donne hanno una sopravvivenza migliore e hanno un rischio inferiore di progressione e metastasi. Altro campo da approfondire, secondo Marchetti, è quello delle differenze di genere nella riposta agli interventi, farmacologici e non, per il dolore, inclusa la tolleranza agli oppioidi, gli effetti collaterali; come anche la diversa percezione del dolore e le preferenze relative al trattamento.

Teresita Mazzei. Farmacologia di genere. Sulla farmacologia di genere è intervenuta Teresita Mazzei del Dipartimento di Scienze della Salute, Sezione di Farmacologia Clinica e Oncologia dell’Università di Firenze, nonché coordinatrice della Commissione Medicina di Genere della FNOMCeO. Le donne sono le maggiori consumatrici di molte classi di farmaci (per es. antidolorifici, antidepressivi, antibiotici) e rispondono in maniera diversa rispetto all’uomo ai farmaci (differenze fisiologiche, anatomiche e ormonali). Una delle differenze dalle conseguenze più rilevanti è relativa alle reazioni avverse: le donne hanno infatti un rischio maggiore, variabile da 1,5 a 1,7 volte, di sviluppare Adverse Drug Reactions (ADRs) rispetto agli uomini: il 59% dei ricoveri dovuti a ADRs si riferisce alle donne. I fattori che possono concorrere sia alla frequenza sia a una maggiore gravità delle ADRs sono la maggiore suscettibilità della donna a specifiche condizioni patologiche farmaco-indotte; diversità farmacocinetiche, farmacodinamiche e maggiori interazioni farmacologiche per politerapie; le posologie inoltre sono studiate per soggetti di sesso maschile (spesso giovani volontari sani) e di peso medio intorno ai 70 kg. Nelle donne andrebbero inoltre considerate le fluttuazioni ormonali in relazione alle fasi della vita riproduttiva. Infine, vi è ancora carenza di studi preclinici e clinici genere orientati. Le donne consumano più farmaci e alle donne spesso vengono prescritti più farmaci, e tra questi anche gli antibiotici, “anche se il motivo non è chiaro: le donne non si ammalano di più di infezioni batteriche rispetto agli uomini, anche se hanno più infezioni urinarie (cistiti acute, post-partum, ecc)”, riflette Mazzei, “ma alle donne, soprattutto al di sopra dei 20 anni, vengono prescritti più antibiotici, mentre verso i 60 anni questa differenza si annulla”. Si tratta di un problema a cui va assegnata la massima priorità: l’Italia è il terzo paese europeo nella prescrizione di antibiotici, e dal 2005 al 2014 la resistenza batterica è raddoppiata nel nostro Paese. Un tema da affrontare anche in una prospettiva di genere.

Lucia Migliore. Epigenetica e genere. Lucia Migliore, dell’Università di Pisa, è intervenuta su epigenetica e genere. L’imprinting genomico e l’inattivazione del cromosoma X nelle femmine sono processi cellulari dovuti a meccanismi epigenetici e possono avere implicazioni nelle differenze di genere. L’alterazione di questi processi può portare a condizioni patologiche e a un sex-ratio alterato per specifiche malattie. Il cervello è uno dei principali target dell’imprinting genomico e molti dei disordini neurologici possono originare da segnali difettivi durante lo sviluppo del cervello. Le differenze di espressione genica nei due sessi possono essere regolate sia da fattori genetici, come i micro-RNA legati al cromosoma X, sia da fattori ormonali come gli steroidi sessuali. Il cromosoma X contiene circa il 10% dei micro-RNA dell’intero genoma che spesso hanno un’importante funzione nell’immunità e nel cancro. Inoltre circa il 15% dei geni legati al cromosoma X sfugge all’inattivazione sul cromosoma X e la continua loro espressione può essere responsabile della diversa sensibilità delle donne a certe patologie.

Anna Teresa Palamara. Infezioni virali e genere. Anna Teresa Palamara (Sapienza Università di Roma) è intervenuta su infezioni virali e genere, con un approfondimento sull’influenza. Dalla sua relazione è emersa l’estrema complessità di quest’ambito di ricerca in continua evoluzione. La ricercatrice ha ricordato come qualche anno fa fossero tutti convinti che gli uomini fossero più suscettibili delle donne alle infezioni batteriche, fungine, parassitarie e virali, sulla base di una serie di pubblicazioni rigorose che però non tenevano conto di molte delle variabili emerse successivamente, che a loro volta variano nei diversi tipi di infezione. Una infezione batterica è assolutamente diversa da una virale, ognuna ha una sua storia e delle caratteristiche diverse. Per ora si può affermare che i dati e i risultati delle ricerche più recenti indicano, per quanto riguarda l’infezione da virus influenzale, che maschi e femmine rispondono diversamente. Sono molteplici le cause che possono condizionare tale differenza: una diversa attivazione della risposta immunitaria, condizioni metaboliche diverse dell’ospite, infine, il potere antiossidante delle femmine è superiore a quello dei maschi.

Il tema dell’immunità e dell’autoimmunità in rapporto al genere è stato approfondito da Maurizio Cutolo (Università di Genova), nel corso del suo intervento.

Claudio Gasperini. Sclerosi multipla e medicina di genere. Maschi e femmine sono diversi anche nella sclerosi multipla, argomento trattato da Claudio Gasperini dell’Ospedale S. Camillo Forlanini di Roma. La SM è un malattia multifattoriale nella cui eziopatogenesi sono implicati fattori genetici ed epigenetici. Questi ultimi possono esser condizionati a loro volta da fattori ambientali. Nell’ambito di questi ultimi di particolare rilievo sono fattori correlati allo stile di vita e alle infezioni (come ad es. infezione da Epstein Barr virus). L’aumentata incidenza della malattia nelle donne è incrementata nel tempo come dimostrato da un aumento del sex ratio (da 1.9 a 3.2 nell’arco di 50 anni), fa notare Gasperini. Per spiegare tale fenomeno sono state formulate una serie di ipotesi. All’origine di tale incremento potrebbero esserci fattori comportamentali quali lo shift del ciclo riproduttivo verso età più avanzate; l’aumentata incidenza del fumo di sigaretta nella donna; la riduzione dell’esposizione al sole. Quet’ultima (così come il deficitario apporto di vitamina D a essa correlata) determina un effetto pro infiammatorio più spiccato nella donna rispetto all’uomo in quanto la sua azione si esplica in sinergia con il 17 beta estradiolo attraverso il recettore degli estrogeni; infine l’esposizione alla luce sotto i 15 anni è stata associata a un ridotto rischio di sviluppare malattia; la vitamina D sembra avere un ruolo protettivo in maniera combinata agli ormoni estrogeni.

Stefano Savonitto. Malattie cardiovascolari. La cardiologia è la disciplina che da più tempo si occupa delle differenze di genere e che si è incaricata di smontare i pregiudizi legati alle patologie cardiache. Come fa notare Stefano Savonitto, della Divisione di Cardiologia dell’Ospedale A. Manzoni di Lecco, i dati dell’OMS sulle cause di morte in Europa dimostrano che sono più le donne che gli uomini a morire di cause cardiovascolari (2.220.000 donne contro 1.863.000 uomini), e le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte per entrambi i generi, anche se la mortalità precoce (prima dei 65 e anche prima dei 75 anni) è di gran lunga superiore negli uomini. Lo studio delle malattie cardiovascolari nella donna è quindi, in parte, connesso allo studio in età avanzata. Va inoltre sottolineato che molte delle terapie di cui le donne necessitano a ogni età sono malamente studiate ad hoc. Uno studio ad hoc invece è il “LADIES ACS” study (studio nelle donne con infarto miocardico), pubblicato sull’American Journal of Medicine, coordinato da Savonitto. I dati raccolti hanno chiaramente dimostrato che, per ognuna delle classi di età considerate (fino a oltre gli 85 anni), le donne hanno una malattia coronarica meno grave rispetto agli uomini. L’estensione della malattia coronarica aumenta progressivamente con l’età in entrambi i sessi, mentre l’età di menopausa non mostra alcuna relazione con l’estensione della coronaropatia. Savonitto conclude fissando l’attenzione su alcuni punti chiave: in confronto agli uomini, le donne hanno circa 10 anni di vantaggio per quanto riguarda l’aterosclerosi, ma questo vantaggio scompare lentamente dopo la menopausa; finora non hanno avuto successo gli sforzi di prolungare i benefici degli ormoni con la terapia ormonale sostitutiva. Il meccanismo dell’infarto del miocardio è simile in entrambi i sessi e con gli stessi trattamenti per uomini e donne si è arrivati a riduzioni simili della mortalità. Nelle donne sembra che continuino a esserci tassi di mortalità superiori aggiustati per età dopo infarto miocardico acuto, a causa di schock cardiogeni più frequenti e severi.

Alberto Villani, Isabella Tarissi de Jacobis. Le differenze iniziano nella culla. Come la cardiologia ha svolto un ruolo pionieristico nella medicina, altrettanto non si può dire della pediatria, nel quale ambito si sta facendo strada da poco la consapevolezza dell’importanza di un approccio di genere anche in questa specialità. Come spiegano Alberto Villani e Isabella Tarissi de Jacobis dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma (Dipartimento pediatrico universitario-ospedaliero, UOC pediatria generale e malattie infettive) in pediatria vi sono in letteratura dati, seppur ancora limitati, che indicano la presenza di specificità nei due sessi, anche in età prepuberale. Già dalla vita fetale il genere, maschile o femminile, influenza la possibilità di sviluppare anomalie diverse o il rischio di prematurità o di parto cesareo e sin dalla nascita si osservano differenze nella prevalenza di alcune patologie congenite. Villani e Tarissi de Jacobis riportano una serie di esempi. Le cardiopatie congenite nel loro complesso sono distribuite in maniera piuttosto omogenea tra maschi (48.7%) e femmine (51.3%), ma le cardiopatie più gravi sono più rare nel sesso femminile. Per molte malattie infettive l’incidenza è maggiore nei maschi, tuttavia il decorso sembra peggiore nelle femmine (maggior immunoreattività e rischio di effetti immunopatogenetici). La differenza nella risposta vaccinale tra i due sessi è presente in ogni fascia di età. Il genere femminile è più esposto a sviluppare patologie autoimmuni, anche in età pediatrica. “L’utilizzo di differenti percorsi diagnostico-terapeutici in queste patologie, che tengano conto delle differenze di genere, permetterebbe una maggior prevenzione grazie a screening mirati e una riduzione di gravità delle patologie e delle complicanze grazie a un trattamento specifico e personalizzato”, concludono Villani e Tarissi de Jacobis.

Claudio Franceschi. Longevità e genere: oltre i 100 anni. Con Claudio Franceschi, dell’Università di Bologna (IRCCS Neuroscienze) cambiamo decisamente fascia di età. Il ricercatore infatti ha fatto un ampio resoconto degli studi, molti dei quali a sua firma, che hanno preso in esame il rapporto tra longevità e genere. Nel 2015 la speranza di vita alla nascita era per i maschi di 80,1 anni, per le femmine di 84,7 (dati ISTAT 2017): in appena un secolo la speranza di vita alla nascita è più che raddoppiata, “una grandissima rivoluzione demografica”. In particolare, sempre nel 2015 in Italia si registravano 19.095 persone di età superiore a 100 anni, delle quali 878 avevano più di 105 anni e 17 più di 110 anni. E il processo di invecchiamento della popolazione italiana continua. In particolare per quanto riguarda le/i centenari, come è stato evidenziato da diversi studi, il rapporto maschi/femmine in Italia è molto diverso a seconda delle regioni, dove si passa da due donne ogni uomo al sud a più di 8 donne per ogni uomo in certe regioni del nord. Tra le tante ricerche ricordate, segnaliamo quella pubblicata sulla rivista Demographic Research (Caselli et al. 2014) sul rapporto tra longevità materna e mortalità infantile della prole. Il dato più importante, sottolinea Franceschi, è che per quelle donne che poi diventeranno centenarie, la mortalità infantile della prole era del 79/1000, mentre nelle donne, della stessa coorte, che muoiono tra i 60 e i 70 anni di età, la mortalità infantile della prole era tra 118/1000 e 172/1000. Questo, si ipotizza, può significare che o le mamme sono più forti geneticamente, oppure seguono degli stili di vita più sani che trasmettono poi ai figli.

Rita Biancheri. L’approccio sociologico di genere in ambito sanitario. “Il genere è un prisma che scompone il neutro maschile e rende visibile le differenze”, è la suggestiva metafora proposta dalla sociologa Rita Biancheri del­l’Università di Pisa che ha presentato una relazione sull’approccio sociologico di genere in ambito sanitario in una prospettiva multidisciplinare. La malattia non è soltanto un evento clinico-biologico, ma anche un avvenimento biografico e sociale: nell’organizzazione dei servizi, secondo la relatrice, c’è stata una crescente attenzione al management, all’efficienza e agli indicatori quantitativi, solo in parte giustificata dalla diminuzione delle risorse e dalla sostenibilità finanziaria, e una scarsa integrazione socio-sanitaria. Le risposte esclusivamente cliniche perdono quello che viene definito il “carattere congiuntivo” della malattia. L’attuale dibattito sulla sanità, invece, deve misurarsi con la complessità del concetto di equità e applicarlo nei percorsi sanitari. La sociologa auspica un passaggio dalla medicina genere specifica alla prospettiva di genere in salute. Oggi introdurre una nuova visione che tenga conto dei contesti di vita, dello status socio-economico, delle credenziali educative e dell’appartenenza etnica e geografica è fondamentale per favorire un approccio biografico e fenomenologico e non solo medico e terapeutico.




Roberta Pacifici. Dipendenze e genere. Anche lo studio e la gestione delle dipendenze si avvantaggiano di un approccio di genere, come illustra Roberta Pacifici, direttrice Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’ISS. Il consumo di sostanze illegali è maggiore nei maschi. Gli uomini hanno 2-3 volte più probabilità delle donne di incorrere in abuso di sostanze/dipendenza, ma questa differenza di genere potrebbe riflettere differenze nelle opportunità piuttosto che nella vulnerabilità all’uso di sostanze. Importanti differenze di genere sono rilevabili in tutte le droghe d’abuso. Per quanto riguarda l’alcol, l’età d’iniziazione è più tardiva rispetto a quella degli uomini e l’uso è più modesto (in termini quantitativi), ma nelle donne l’evoluzione verso la dipendenza è più rapida e sono più gravi le conseguenze alcol-correlate. Inoltre il rischio di morte nella popolazione femminile alcolista è 5 volte maggiore che in quella maschile e anche le condotte suicidarie sono prevalenti nelle donne. “In generale, l’ottica di genere nelle dipendenze è recente. Richiede una rivisitazione completa dei trattamenti, in particolare il trattamento farmacologico delle dipendenze non ha una sperimentazione orientata al genere. Nelle strutture di accoglienza per queste problematiche non ci sono luoghi dedicati. I farmaci sostitutivi non sono mai stati studiati nella popolazione femminile rispetto a quella femminile. Sono tutti studi che riguardano la dipendenza nelle donne”, conclude Pacifici.

Roberta Masella. Abitudini alimentari e genere. Le donne seguono regimi alimentari più sani e consumano alimenti meno densi di energia, assicura Roberta Masella (Centro di riferimento per la medicina di genere, Istituto Superiore di Sanità) nel suo intervento. Le donne infatti consumano più frutta e verdura, cibi integrali e yogurt, ma consumano anche più dolci. Gli uomini invece mangiano più proteine e grassi, bevono più bevande dolci gassate, più superalcolici, vino e birra, consumano più snacks e mangiano più spesso al fast food, saltano più spesso la colazione. Le donne sembrano più pronte ad aderire a programmi alimentari e quindi a modificare le proprie abitudini per adottare regimi più salutari, ma si stancano prima e “sgarrano” più facilmente. Gli uomini invece mantengono più a lungo il cambiamento e sono più costanti. L’adozione di regimi alimentari adeguati dà risultati più evidenti negli uomini che nelle donne. Perché? Probabilmente perché gli uomini hanno consumi alimentari di partenza più sbilanciati rispetto alle donne, per cui il cambiamento che segue l’intervento dietetico è più pronunciato. Vi sono però altri fattori, per esempio la diversa capacità di metabolizzare i grassi: gli uomini utilizzano più rapidamente della donna i grassi per produrre energia.




Giovanna Badalassi. Bilancio SSN e genere. Originale il contributo di Giovanna Badalassi, Istituto di Ricerche economico-sociali del Piemonte, che è intervenuta su “Bilancio SSN e genere”. Sono ormai molti anni che il Piemonte fa bilanci di genere: una parte è dedicata alla lettura delle politiche sanitarie, ricondotte a una dimensione economica, per vedere quanto viene speso in termini sanitari per le donne e per gli uomini. Non tanto per un ragionamento del “quanto”, ma più che altro del “come”, per cercare attraverso queste analisi di promuovere l’efficacia e l’efficienza della spesa sanitaria per curare meglio tutti. Questi risultati fanno emergere come diversi comportamenti, diversi stili di vita si riflettono sulle prestazioni sanitarie e il loro costo. Per cui le spese per le prestazioni per curare l’incidentalità stradale o domestica o sul lavoro, i traumatismi o gli incidenti, sono tutte delle variabili che hanno diverse componenti di genere che quindi impattano in maniera differente, soprattutto quando sono riconducibili a comportamenti che si possono modificare e si può intervenire attraverso un dato culturale, in modo che si abbia una migliore cura di sé. Badalassi sottolinea che al cuore delle differenze di genere c’è proprio la differente educazione alla cura: le donne sono state allevate per essere sensibili, relazionarsi, curare, sono il primo “medico di famiglia”, gli uomini invece sono stati addestrati alla gestione del patrimonio. E questo ha molteplici ripercussioni che partono tutte dal diverso atteggiamento rispetto alla cura di sé e degli altri, che vanno dall’adozione e promozione di stili di vita sani, ai comportamenti più o meno rischiosi, alla prevenzione, per fare solo alcuni esempi.




Giovannella Baggio. Dalla medicina di genere alla medicina genere-specifica. Concludiamo con l’appello di Giovannella Baggio (Cattedra di Medicina di genere, Università di Padova) che nel suo intervento ha sottolineato che la medicina di genere per essere ben compresa deve attraversare tre ponti. Il primo ponte consiste nel non identificarla con lo studio della salute della donna, “la medicina di genere è una dimensione che vuole porre l’attenzione sulla salute e sulla malattia dell’uomo e della donna e possibilmente fare dei confronti e comprendere le differenze, sia nell’approccio diagnostico sia nella terapia e, ancor più importante, nella prevenzione”. Il secondo ponte sarà superato quando si comprenderà che la medicina di genere è una dimensione trasversale di cui si devono occupare tutte le specialità. La medicina di genere non deve essere una nicchia della medicina: ci vuole una medicina che sia, tutta, genere-specifica. È importante anche aggiungere un’altra dimensione, ed ecco il terzo ponte, che è quello dell’approccio di genere alla salute, “perché la salute è qualcosa da salvaguardare sia nella prevenzione della malattia, sia nella perdita della salute, e in quest’ottica di approccio di genere alla salute nascono tutte le problematiche socio-politiche, l’atteggiamento sulla prevenzione, il rapporto medico-paziente, gli investimenti economici”. E ha concluso: “Ecco quindi che medicina genere-specifica da una parte e approccio di genere alla salute dall’altra devono stare estremamente collegati per trovare finalmente una dimensione corretta del nostro quotidiano essere medici e custodire la salute di una popolazione”.

Un contributo fondamentale sarà dato dal nuovo Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’Istituto Superiore di Sanità che, assicura Malorni, si propone di essere “un servizio per far sì che tutti gli attori presenti in Italia, sparsi in tutto il territorio nazionale, facciano rete e cerchino di comunicare, perché la forza sta proprio nella rete”.

Report a cura di

Luciana Giordani,
Federica Delunardo

Centro di Riferimento per la Medicina
di Genere, Istituto Superiore di Sanità

Arabella Festa

Il Pensiero Scientifico Editore

Il presente resoconto, che si propone come una sintetica panoramica degli argomenti affrontati, è costruito sulla base delle slide congressuali e delle registrazioni.