Medicina di genere. Ci vuole una legge

A colloquio con Paola Boldrini

Lei ha vissuto in prima persona molto dell’iter legislativo sulla Medicina di Genere. Ci vuole raccontare in sintesi la storia di quello che è stato fatto sino a oggi e da dove si è partiti, in Italia, a livello parlamentare?

Per preparare la mia proposta di legge ho fatto una ricerca in ambito parlamentare per capire cosa era già stato fatto, ossia quali documenti e provvedimenti erano stati approvati su questo tema. Uno dei documenti più importanti, a mio parere, risale al 2008 quando fu pubblicato il primo Rapporto sui lavori della Commissione “Salute delle Donne” istituita e volutamente presieduta dal­l’allora Ministra della Sanità On. Livia Turco. La pubblicazione di questo Rapporto è stata utile quale strumento per capire quale fosse la situazione della salute delle donne nel nostro Paese. Successivamente furono presentate delle mozioni, ossia la richiesta di impegno da parte del Governo, sia in Senato che alla Camera dei Deputati, votate tra l’altro all’unanimità, come quella del 2012 nel cui testo vengono elencate anche le principali tappe che hanno portato ad avviare le ricerche che stanno mettendo in evidenza sempre più differenze o confermano uguaglianze, spesso inaspettate.

La Mozione del 2012 impegnava il Governo a:

1. inserire la Medicina di Genere nel Piano Sanitario Nazionale;

2. promuovere le applicazioni della Medicina di Genere con un potenziamento “omogeneo” nel territorio nazionale;

3. promuovere la materia “medicina di genere” nei programmi dei Corsi di laurea in medicina e chirurgia, in scienze infermieristiche e in altri Corsi di formazione nella sanità, per favorire interdisciplinarietà e presa di coscienza dell’importanza della medicina di genere;

4. individuare percorsi sanitari che tengano conto del genere.

La Mozione sottolineava l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce, suggeriva incentivi fiscali e ricerche che tengano conto delle differenze sessuali e del genere; incoraggiava campagne informative per migliorare le conoscenze sulla diversità di sesso e genere. Auspicava, infine, la nascita di un Osservatorio Nazionale della Medicina di Genere in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità.

Sono del 2013 le due proposte di legge depositate da miei colleghi alla Camera dei Deputati con lo stesso titolo “Norme in materia di medicina di genere” con primi firmatari rispettivamente Delia Murer e Pierpaolo Vargiu e contenenti testi molto simili e con poche variazioni dalla Mozione approvata nel 2012. L’auspicio dichiarato era di individuare disposizioni finalizzate al “riconoscimento della medicina di genere”, in un’ottica di appropriatezza. Le proposte purtroppo non hanno mai iniziato l’iter parlamentare.

Quali sono i punti fondamentali della proposta di legge da Lei presentata e firmata da molti esponenti della politica italiana?

Nel testo della proposta, in maniera dettagliata, si prevede che il ministro della Salute, d’intesa con le Regioni, inserisca tra gli obiettivi del Patto per la salute il sostegno alla Medicina di Genere quale approccio interdisciplinare tra le diverse aree mediche promuovendo:

a. progetti di ricerca biomedica, farmacologica e socio-psicologica selezionati tramite l’indizione di bandi nazionali, finanziati dallo Stato;

b. progetti di ricerca biomedica, farmacologica e socio-psicologica, sottoposti alla valutazione dei Comitati etici per la ricerca regionale e locale;

c. l’adozione di linee guida attente al genere per la pratica clinica delle diverse patologie;

d. l’adozione da parte delle aziende sanitarie locali e ospedaliere di obiettivi divulgativi, formativi e clinici di Medicina di Genere;

e. la sensibilizzazione delle riviste scientifiche ai fini dell’accreditamento di pubblicazioni attente al genere.




Avvalendosi poi dell’aiuto del­l’Agenas, il ministro della Salute dovrà promuovere la progettazione e l’attuazione di piani sanitari e di prevenzione regionali, che tengano conto del genere, istituire registri pubblici sulla violenza di genere, stabilire che il genere sia inteso come indicatore sia clinico sia organizzativo, da inserire nei piani della valutazione della qualità delle aziende sanitarie locali e ospedaliere, incaricare la Commissione salute della Conferenza delle regioni di approfondire sistematicamente il tema.

Inoltre, previo parere dell’Aifa, il ministro della Salute dovrà emanare apposite raccomandazioni affinché le sperimentazioni cliniche dei farmaci e dei dispositivi medici siano condotte su campioni di popolazione selezionati in base al genere, in modo paritetico. Viene prevista l’istituzione dell’Osservatorio nazionale dinamico per la medicina di genere con il compito di raccogliere, coordinare e trasferire dati epidemiologici e clinici al fine di assicurare il raggiungimento dell’equità nel diritto alla salute.

L’articolo 5 affronta il tema formazione. Qui si dispone che il ministro della Salute, d’intesa con il ministro dell’Istruzione, debba predisporre un Piano formativo nazionale per la medicina di genere che preveda l’attivazione di Corsi interdisciplinari finalizzati alla conoscenza e all’applicazione dell’orientamento alle differenze sessuali e di genere nella ricerca, nella prevenzione, nella diagnosi e nella cura.

L’articolo 6 prevede che il ministro del Lavoro, d’intesa con il ministro della Salute, proceda a una valutazione e a un’eventuale revisione delle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro in un’ottica di genere.

All’articolo 7 si dispone che il Ministro della salute, previo parere dell’Istituto superiore di sanità e in collaborazione con l’Agenas, con le aziende sanitarie e con le associazioni e fondazioni attive nel settore della medicina di genere, promuova azioni informative e di divulgazione scientifica sulla medicina di genere a livello locale, regionale e nazionale.

Cosa si prefigge di fare questa proposta di legge? Quali gli obiettivi da raggiungere?

Questa proposta di legge indica precise disposizioni per attuare una concreta diffusione della Medicina di Genere, come l’inserimento nel Patto della Salute, la predisposizione dei Piani Sanitari delle Aziende Sanitarie e Ospedaliere/Universitarie, la redazione dei Piani Formativi, delineando tappe vincolanti. Si propone di fare uscire dalla fase volontaristica le azioni in essere in Italia, con una diffusione a macchia di leopardo, per rappresentare un concreto e fattivo dispositivo a garanzia di un equo e appropriato diritto alla salute. Intende essere la concreta presa d’atto delle evidenze scientifiche ormai inconfutabili delle differenze sessuali e di genere che esistono tra maschi e femmine. Mi ha molto colpito constatare che ormai anche le più prestigiose riviste scientifiche denunciano un sottotrattamento sistematico delle donne per ciò che riguarda le patologie cardiache, così come per gli uomini vengono sottovalutati aspetti quali le conseguenze della frattura di femore. Con queste consapevolezze, la proposta di legge intende diffondere in modo equilibrato, su tutto il territorio nazionale, una presa d’atto del nuovo orientamento, nella pratica clinica. Aspetto che richiama anche l’appropriatezza della cura e ricorda la necessità di un rispetto equo del diritto di salute per tutti e tutte.

Un passo avanti è la recente introduzione della Medicina di Genere nei programmi dei Corsi di laurea in Medicina e Chirurgia. Cosa bisogna aspettarsi per il futuro, quali le prospettive a Suo avviso di questa proposta di legge e quali i tempi?

In attesa che la legge possa iniziare il suo iter parlamentare, data l’importanza fondamentale della formazione nella medicina di genere, si è convenuto sulla necessità di un Progetto pilota che, anziché prevedere “cattedre” specifiche, possa proporre contenuti e dati orientati al genere in almeno un insegnamento di ogni anno del Corso universitario medico a partire dall’anno accademico 2017-18.

Questa intuizione è importante perché dobbiamo pensare alla formazione delle future generazioni di medici, che potendo già, come di fatto in alcune Università avviene, avere una formazione orientata al genere fin dall’inizio del percorso universitario, non dovranno colmare un gap formativo come i medici che ora sono in attività.

Il progetto pilota è stato lanciato da Andrea Lenzi, Presidente del Consiglio Universitario Nazionale e della Conferenza dei Presidenti di Consiglio di Corso di laurea in Medicina e chirurgia e da me in un incontro che si è tenuto a Roma, a cui hanno preso parte anche Stefania Basili, Presidente vicario della Conferenza e Docente alle Università Sapienza di Roma e Università di Ferrara, Tiziana Bellini, Presidente del Corso di Laurea di Medicina e Prorettore alla didattica per l’Area biomedica dell’Università di Ferrara e Fulvia Signani, Psicologa dell’Ausl di Ferrara e Docente a contratto dell’Università di Ferrara. L’incontro verteva su come programmare un’applicazione il più concreta e tempestiva possibile del­l’insegnamento della medicina orientata al genere nelle Università italiane, partendo dalle Scuole di medicina. La proposta del progetto pilota è stata approvata il 12 dicembre 2016 nella seduta della Conferenza Permanente dei Presidenti di Corso di Laurea Magistrale a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, a cui sono stata invitata per illustrare la mia proposta di legge. Quest’Organismo, Presieduto dal Prof. Andrea Lenzi, ha approvato all’unanimità, trasformando in Mozione con raccomandazione a tutte le Università, il progetto pilota presentato durante la riunione dalla Prof. Tiziana Bellini, Coordinatrice del Corso di Laurea di Medicina e Chirurgia e delegata alla Didattica dell’Università di Ferrara, la quale, approfondendo i dettagli di applicazione, ha descritto ciò che Ferrara ha già intrapreso: l’integrazione nei singoli Corsi di Laurea Magistrale di Unità Didattiche relative alla Medicina di Genere, a partire dall’aa 2017-2018.

Lo scopo del progetto pilota, promosso dall’Università di Ferrara e dal­l’Università Sapienza, di cui è Coordinatrice del Corso di Laurea in Medicina la Prof.ssa Stefania Basili, è quello di sensibilizzare le nuove generazioni di medici, per cui è importante che nel corso di studio in Medicina e Chirurgia sia previsto, in maniera strutturata, un approccio di genere come parte integrante del processo formativo.

Hanno già aderito, oltre all’Università di Ferrara e Roma Sapienza, altri atenei italiani, come quelli di Palermo, Napoli Federico II, Campobasso, Foggia, ma stanno arrivando moltissime altre adesioni.

L’auspicio è quello che tutti i Corsi di Laurea di Medicina e Chirurgia degli atenei italiani aderiscano.

Questa idea è nata anche dal fatto che, per quanto riguarda l’iter parlamentare della legge, non intravvedo tempi brevi per la sua discussione e approvazione, mentre credo che sia più che mai urgente fare qualcosa di concreto a livello nazionale per la formazione dei futuri medici, per evitare che la politica non riesca ad accompagnare e sostenere lo sviluppo della società, come invece dovrebbe fare per sua natura.

A livello europeo e internazionale com’è la situazione legislativa rispetto al tema della Medicina di Genere?

Mentre stavo preparando il materiale per predisporre il testo della mia proposta, ho cercato di esplorare cosa era stato fatto, dal punto di vista normativo, a livello internazionale.

Attraverso gli Uffici Parlamentari, ho chiesto un’indagine sui testi legislativi presenti all’estero, da comparare con il mio testo di legge, ed è emerso che a livello europeo non risultano disposizioni vigenti sulla medicina di genere e neanche proposte di legge all’esame dei rispettivi Parlamenti.

Anche in alcuni altri Paesi, per esempio Germania, Olanda, Svezia, esistono azioni, quali ricerche cliniche e farmacologiche, insegnamenti di medicina di genere, ma in nessun Paese esiste una legge a cui queste azioni fanno riferimento.

È stato quindi per me un piacere quando, lo scorso luglio, in una audizione a cui ho partecipato presso la Commissione Affari Esteri in collaborazione con il gruppo Agenda 2030, il gruppo di lavoro sui diritti delle donne e salute globale e l’intergruppo donne parlamentari, che rappresenta tutti i partiti dell’arco costituzionale, abbiamo incontrato la Dott.ssa Flavia Bustreo, Vice Direttore Generale Salute della Famiglia, della donna e del Bambino dell’OMS, e in quella occasione le ho consegnato la mia proposta di legge affinché potesse essere uno spunto per iniziative analoghe. Invito che Bustreo ha accolto con l’auspicio dell’apertura di un dialogo con il Parlamento Italiano che possa portare a collaborazioni concrete atte a migliorare la salute delle donne, in particolar modo, e quindi di tutta la famiglia.

Intervista a cura di

Mariapaola Salmi