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Dalle Regioni

Le politiche in materia di medicina di genere della Regione Emilia-Romagna

A colloquio con Roberta Mori

Negli ultimi anni c’è stato un notevole fermento intorno a un tema di grande attualità: la medicina di genere. Crede si possa definire il genere quale determinante di salute?

Ritengo che un sistema socio-sanitario evoluto, che metta al centro i bisogni della persona, l’appropriatezza della prestazione sanitaria, l’efficacia della cura e l’adeguatezza dell’assistenza, non possa trascurare la complessità dei fattori che condizionano la nostra salute e incidono sul nostro benessere. Sappiamo, infatti, che il determinante di genere è il frutto non solo della differenza biologica tra donne e uomini, ma anche dei differenti stili di vita nonché dei diversi ambiti socio-culturali e ambientali di riferimento. Tutto questo porta a considerare l’opportunità, ma finanche la necessità, di garantire lo sviluppo e il radicamento di una medicina di genere che diventi prassi e metodologia applicata per il miglioramento della prevenzione e della cura delle malattie di uomini e donne. Questo perché la medicina di genere non è la “medicina delle donne”, bensì una medicina nella quale si supera ogni pregiudizio scientifico di neutralità e si fa della specificità di genere una leva di equità e di avanzamento oggettivo dello scibile in materia.

Il fermento culturale intorno a questa innovativa forma di approccio multidisciplinare non si è ancora tradotto in consapevolezza diffusa e ancora molti stereotipi orientano l’immaginario collettivo e il comportamento individuale sia degli operatori sia dei cittadini. I tempi sono maturi per fare un salto di qualità.

Quanto è coinvolta la medicina di genere e che significato ha nel più vasto scenario del rapporto tra diseguaglianze e salute?

Risulta evidente che il principio di uguaglianza, sancito dall’articolo 3 della Costituzione Italiana, vede la sua massima espressione nel diritto alla salute e nella rimozione di tutti gli ostacoli che ne impediscono la piena esigibilità. È storicamente acclarata la sottovalutazione della soggettività femminile in tutti gli ambiti della società e potenti evidenze di questa marginalizzazione sono tuttora riscontrabili. Il Gender Gap è un elemento di analisi della condizione femminile a livello planetario e va dalla disparità salariale, alla minore rappresentanza femminile nei luoghi della decisione e del potere, dalla minore istruzione alla segregazione socio-culturale. Una dimensione urgente che grava sulla competitività dei Paesi e sul rispetto dei diritti umani. L’Italia esprime ancora parte di queste contraddizioni che diventano vere e proprie disparità di genere e diseguaglianze sostanziali.

La Sanità non si sottrae a un approccio discriminatorio che per secoli ha considerato neutrale la sperimentazione, neutrale la ricerca, neutrali i rimedi. L’unico aspetto di attenzione e differenziazione è sempre stato l’apparato riproduttivo e genitale delle donne nella logica di un approccio “bikini”. Infatti, la prima sperimentazione farmacologica destinata alle donne risale al 2002, quando presso la Columbia University di New York fu istituito il primo corso di medicina di genere. La medicina di genere, dunque, costituisce anche una forma di emancipazione culturale e compensativa di un ritardo secolare nei confronti del genere femminile non più accettabile nell’orizzonte di una moderna civiltà avanzata nei diritti e giusta nelle politiche.







A suo avviso come vanno focalizzate le diseguaglianze di salute nella programmazione sanitaria? La Regione Emilia Romagna sembra infatti aver imboccato la strada giusta: ci racconta cosa accadrà in termini di azioni concrete orientate al genere?

Al fine di contrastare le diseguaglianze che l’inappropriatezza dell’organizzazione e della prestazione sanitaria possono causare, risulta imprescindibile inserire strumenti impositivi di correzione dello status quo negli atti di programmazione sociosanitaria sia a livello nazionale che regionale, per quanto di competenza. Tutto questo in una logica di sussidiarietà, che non esime lo Stato dal farsi carico di una organica normativa nazionale che promuova e sostenga la medicina di genere. La Regione Emilia-Romagna ha fatto una scelta strutturale in tema di politiche di equità, di genere e di parità. Nel 2011 è stata istituita la Commissione per la parità tra donne e uomini, organismo permanente non più solo consultivo, ma con poteri legislativi, composto da consigliere e consiglieri eletti. A oggi l’unica esperienza riscontrabile nelle regioni italiane. Ciò ha reso possibile un approfondito lavoro politico-istituzionale, un ampio e credibile confronto con i soggetti sociali e, infine, la presentazione di un progetto di legge che per la prima volta affrontasse con politiche strutturali di genere tutti gli ambiti di competenza, in ottica di mainstreaming. Abbiamo voluto usare lo strumento della legge “quadro” trasversale ai settori proprio perché l’unico adeguato a rendere pervasive e durature le politiche di parità, a incardinarle in un’azione istituzionale orientata allo sviluppo e alla prevenzione della violenza che colpisce ancora oggi, drammaticamente, le donne.




L’inserimento della medicina di genere nella Legge quadro regionale per la parità e contro le discriminazioni di genere (art. 10 L.R. 6/2014), partendo dal principio della cura personalizzata e appropriata, ha dunque investito anche la “macchina” della Sanità del compito di un aggiornamento cogente equity and gender oriented. Formazione professionale permanente del personale sociosanitario, campagne di comunicazione e informazione corretta ai cittadini, promozione della ricerca scientifica e di nuovi percorsi di prevenzione, parità di trattamento e accesso secondo le specificità di genere, sono tutti obiettivi e azioni concrete previste dalla Legge per la Parità e a cui la Regione Emilia-Romagna deve adeguare la propria organizzazione socio-sanitaria e i propri documenti programmatici. In particolare, il nuovo Piano sociale e sanitario regionale in via di definizione mediante un percorso partecipato attivamente da tutti i protagonisti del sistema in incontri e audizioni pubblici, conterrà per la prima volta esplicitamente la medicina di genere come approccio non più eventuale.

Dalla completa attuazione di questa norma, che sta impegnando la Commissione che presiedo, dipende l’orizzonte di continuo progresso della qualità del sistema sanitario del futuro, la sua sostenibilità non solo in termini economici ma di un accresciuto e tangibile benessere delle donne e degli uomini, delle ragazze e dei ragazzi, delle bambine e dei bambini. Consideriamo davvero la medicina di genere un tassello ineludibile di quel cambiamento culturale e sociale che stiamo concretizzando in Emilia-Romagna e che proponiamo al Paese.

Intervista a cura di
Mariapaola Salmi