La medicina genere-specifica, modello di appropriatezza nelle cure

Qual è il nodo da cui partire per comprendere profondamente l’essenza della medicina genere-specifica? Noi crediamo fermamente che non possa essere altro che questo: una medicina fatta per curare in modo più appropriato tutti, uomini e donne.

Lo sappiamo, quando si parla (o si scrive) di appropriatezza il terreno diventa scivoloso, ma laddove, in ogni area clinica e terapeutica, manchi un corretto approccio di genere si va incontro a diagnosi incerte e a gravi sottotrattamenti. Il nostro Paese e moltissimi operatori sanitari e decisori politici dimostrano sensibilità nei confronti di questo tema. Il territorio è attivo, la gran parte delle Regioni ha colto il segnale, l’opportunità di una medicina di genere strumento di appropriatezza. Quel che manca ancora, in maniera preoccupante, è l’assenza di una concreta azione di politica sanitaria nazionale che attribuisca e collochi in modo definitivo e chiaro la medicina di genere nello spazio che le compete: non solo un’ispirazione sociale ma, soprattutto, strumento di governance.

È forte il riferimento nell’Editoriale del Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, che stavolta il giornale si pregia di ospitare, alla quarta Conferenza delle Nazioni Unite sui diritti delle donne, svoltasi a Pechino nel 1995, venti anni fa, durante la quale i partecipanti coralmente diedero risalto alla necessità di inserire una prospettiva di genere in ogni atto politico e programmatico. Concetto ripreso e ribadito nel documento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, “Health 2020: un modello di politica europea”, dove il genere è riconosciuto decisivo nelle politiche europee, fattore determinante ed essenziale poiché la salute, così come la malattia e le cure, sono diverse tra uomini e donne. Coerentemente con l’essenza del suo significato, la dimensione di genere nella salute – scrive Lorenzin – diviene strumento di governo di sistema.

Ma torniamo al nostra realtà. A che punto è la diffusione della medicina di genere in Italia?




Merita una lettura attenta la puntuale e dettagliata revisione condotta dalla professoressa Fulvia Signani dell’Università degli Studi di Ferrara. Un’indagine web, basata su carotaggi effettuati in più tempi in un arco temporale che va dal 2012 al 2015, e che analizza il lungo, complesso, laborioso lavoro portato avanti da numerosi enti, istituzioni e associazioni anno dopo anno, a partire dal 1998 quando prende via il progetto “Una salute a misura di donna” dei Ministeri per le Pari Opportunità e della Salute. I primi congressi, la nascita delle associazioni fino all’attivazione di progetti genere-orientati sul territorio realizzati grazie al coinvolgimento e all’impegno di Regioni e Aziende sanitarie.

Risponde, invece, a un approccio decisamente clinico il contributo della professoressa Anna Maria Moretti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Consorziale Policlinico di Bari, specialista in malattie respiratorie, che presenta un interessante studio riguardante pazienti, uomini e donne, con BPCO, severa patologia che in anni recenti è andata via via caratterizzandosi per una crescente “femminizzazione”, come dimostra l’aumento dal 27,8% del 2001 al 35,6% del 2011 registrato tra le pazienti ospedalizzate al Policlinico di Bari.

Argomento di estrema attualità è quello trattato da Walter Malorni ed Elena Ortona dell’Istituto Superiore di Sanità su ormoni sessuali e differenze di genere a livello di sistema immunitario. Le malattie autoimmuni colpiscono più le donne e agli ormoni sessuali si attribuisce gran parte della responsabilità di questa differenza.

Come cambia e perché nei due sessi, in particolare nella donna, il profilo lipidico durante la vita a partire dall’adolescenza, lo spiega la professoressa Giuseppina Russo dell’Università degli Studi di Messina. Genetica e variazioni ormonali influenzano il metabolismo delle lipoproteine che nella donna s’incattiviscono diventando più aterogene, associandosi di conseguenza a un aumentato rischio cardiovascolare.




L’articolo della professoressa Erica Villa dell’Università degli Studi di Modena – Reggio Emilia, si sofferma sulle differenze di genere che segnano pure l’evoluzione e le complicanze delle malattie epatiche croniche. Una storia naturale più favorevole nella donna in età fertile, quella delle epatiti virali, almeno fino al momento della menopausa, evento che segna un peggioramento della patologia associato a una minore risposta alle terapie.

Consiglio infine la lettura degli ultimi due contributi a cura della redazione. Il primo, è una sintesi di un ampio studio francese sulle differenze di genere rispetto allo peumotorace spontaneo, patologia affatto infrequente, con una incidenza superiore negli uomini, che al ricovero hanno anche un’età media inferiore, con il primo picco di incidenza prima dei 20 anni.

Il secondo, squisitamente leggero quanto speculativo: “Donne e grammatica, una questione genere-specifica”. La grammatica, a dispetto delle resistenze, deve declinarsi e trasformarsi. Lo sappiamo, ogni cambiamento linguistico ha preso il suo tempo, ma tutto oggi muta velocemente e un linguaggio rispettoso del genere non può più attendere, né si può più fare appello a quella presunta “neutralità maschile” , oramai alibi anacronistico.

Mariapaola Salmi

Editor in Chief

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