Ambiente urbano, salute e genere

Il devastante sisma che di recente ha colpito al cuore il nostro Paese pone per l’ennesima volta il problema dei contesti urbani e delle garanzie che essi offrono ai loro abitanti in termini di sicurezza, e non solo. La correlazione tra pianificazione urbana e salute della popolazione è ormai avvalorata da una vasta messe di studi scientifici. A quanto pare sarebbero proprio le donne a pagare il prezzo più alto in termini di benessere e salute negli attuali aggregati urbani. Nella città cosiddetta “razionalista” – ideata sul concetto di specializzazione funzionale, divisa in ambiti residenziali e ambiti produttivi, e costruita secondo complessi di edilizia popolare ad alta concentrazione di volumi e di abitanti, e complessi suburbani a bassa densità edilizia e demografica – non è più il contagio e la diffusione di batteri e virus il vero pericolo, quanto piuttosto il disagio sociale, legato vuoi a uno status economicamente svantaggiato, vuoi alla dispersione della funzione urbana su un territorio che non riconosce più la sua vera natura: né campagna, né città. Condizioni, queste, che costringono gli abitanti a dipendere dai mezzi motorizzati per ogni spostamento, con conseguenze di tipo sanitario, in parte legate a comportamenti e a stili di vita erronei, che trovano humus perfetto laddove viene meno la funzionalità propria della città.

Un indicatore epidemiologico di tali aspetti della città contemporanea è l’obesità. Patologia originata da un mix di cattive abitudini alimentari e assenza di esercizio fisico, che trova nell’ambiente deprivato di spazi verdi e negozi le condizioni più favorevoli alla sua diffusione. Minori opportunità di fare movimento, maggiore dipendenza dall’automobile, significano maggior rischio di diventare obesi e di aprire la strada all’insorgenza di altre patologie quali diabete e malattie cardiovascolari.

L’incremento della pedonalità nelle aree urbane favorisce la salute pubblica: è quanto evidenziato da uno studio pubblicato nel 2014 sul Journal of Transport and Health1.

Forma urbana e salute sono perciò due aspetti fortemente intrecciati e le donne sono le più esposte agli effetti della dispersione del territorio urbano, della scarsa pedonalità, della concentrazione di disagio socieconomico presente nelle aree periferiche e suburbane che lambiscono la città.

La città, con le attività commerciali, le scuole, le banche, i servizi, le palestre e gli impianti sportivi, i ritrovi culturali e il verde pubblico, rappresenta un fattore protettivo della popolazione, in particolare della quota femminile. Nel 2012 uno studio pubblicato su Health & Place2 evidenziò come, in un campione di donne americane tra i 50 e i 79 anni, una minore probabilità di soffrire di cardiopatia coronarica fosse correlata al fatto di abitare in centri urbani, e che addirittura il trasferimento in ambiti urbani densi e compatti influisce sulla riduzione dell’11% del rischio di sviluppare malattia. Nel 2015 un’altra ricerca pubblicata sulla stessa rivista3 evidenziava come la presenza di parchi pubblici fosse all’origine di un minore indice di massa corporea in un campione di donne residenti in aree urbane australiane e statunitensi.

Già nel lontano 1963 Betty Friedan in The Feminine Mystique4 aveva posto un accento particolare sul legame tra ambiente urbano e salute della popolazione femminile, puntando il dito sulle manifestazioni psichiatriche nelle donne che risiedevano nei quartieri suburbani limitrofi alle grandi città americane. Le donne, forse per la loro diversa collocazione sociale, sono i soggetti più esposti agli effetti della moderna urbanizzazione e poiché diversi studi scientifici dimostrano che l’ambiente urbano è per sua natura “obesogenico”5 e che sono le donne a essere le più colpite da questa patologia, diventa prioritario che le città vengano ridisegnate in una prospettiva di genere, quanto meno per evitare che una quota importante della popolazione risulti esposta al rischio di contrarre le nuove patologie della città contemporanea.

E veniamo ai contributi che i nostri lettori troveranno in questo numero dell’Italian Journal of Gender-specific Medicine.

Sulle differenze di genere nei soggetti obesi, rispetto alle disfunzioni sessuali, si soffermamo Cinzia Niolu, Emanuela Bianciardi e Alberto Siracusano6, dell’Università Tor Vergata di Roma. Un fenomeno allarmante, con una correlazione tra obesità e disturbi sessuali. La rassegna esamina le alterazioni sessuali più frequenti negli uomini e nelle donne obesi e ne elenca i possibili meccanismi eziopatogenetici. Le disfunzioni sessuali compromettono la qualità della vita: è, quindi, necessario conoscerle tenendo conto delle differenze tra i due sessi, diagnosticarle e trattarle.

Graziella Caselli dell’Università Sapienza di Roma in “The gender gap in survival: a new perspective”7, esamina le differenze di genere rispetto alla sopravvivenza. Stili di vita nocivi alla salute hanno penalizzato gli uomini per molto tempo quanto a sopravvivenza media rispetto alle donne. La svolta avviene nelle generazioni nate dopo gli anni ’30, quando i maschi cominciano a capire che se vogliono vivere più a lungo devono imitare i comportamenti delle coetanee.

Si sa poco sulla differenza tra maschi e femmine riguardo alla cardiotossicità indotta dalla doxorubicina, una potente antraciclina. Renée Ventura-Clapier (Université Paris-Sud), in “Sex differences in anthracycline cardiotoxicity”8, spiega che questi farmaci sono uno dei trattamenti chemioterapici più efficaci sebbene il loro utilizzo sia penalizzato proprio dal rischio di tossicità cardiaca e riassume quanto si conosce sulle differenze sessuali nell’uomo e in alcuni modelli animali, auspicando una maggiore collaborazione tra oncologi e cardiologi nell’ottica della medicina di genere.

Giovanni Vicenti e collaboratori, del Policlinico di Bari nello studio “A review of gender differences in hip fracture anatomy, morbidity, mortality and function”9 offrono una panoramica di quanto esiste in letteratura sulle differenze di genere rispetto alla frattura di femore che, come è risaputo, è una causa importante di morbilità e mortalità negli anziani di entrambi i sessi. È noto però che mentre l’incidenza della frattura d’anca nelle donne over 75 è più che doppia di quella maschile, la mortalità a 1 e a 2 anni dall’evento fratturativo è più elevata negli uomini.

Si soffermano sulle “Gender differences in type 2 diabetes” Valeria Manicardi e collaboratrici10, per conto del Gruppo Donna AMD. Le donne diabetiche sono più a rischio di eventi cardiovascolari maggiori, sono anche più obese, hanno un peggior controllo della malattia diabetica insieme a un peggior profilo lipidico e a una maggiore frequenza di ridotto filtrato glomerulare. Molti studi evidenziano anche come le diabetiche siano sotto-trattate con i farmaci per il controllo dei fattori di rischio, sebbene dati italiani non confermerebbero questa tendenza. Secondo Manicardi vanno indagati alcuni fattori biologici non ancora studiati e che potrebbero essere all’origine di queste differenze.

Il giornale si chiude con un’intervista a Roberta Mori11 della Regione Emilia Romagna che racconta quali priorità in termini di genere sono e saranno affrontate dalle politiche di sanità pubblica nel suo territorio.

Merita una attenzione speciale l’articolo di Giovanella Baggio che dedica un focus al libro di Marek Glezerman “Gender Medicine” (Overlook Duckworth New York – London 2016), arricchito da una prefazione dello scrittore e giornalista israeliano Amos Oz.

Bibliografia

1. Marshall WE et al. Community design, street networks, and public health. J Transp Health 2014; 1 (4): 328-46.

2. Griffin BA et al. The relationship between urban sprawl and coronary heart disease in women. Health Place 2013; 20: 51-61. doi: 10.1016/j.healthplace.2012.11.003. Epub 2012 Dec 7.

3. Veicth J. et al. Park availability and physical activity, TV time, and overweight and obesity among women: Findings from Australia and the United States. Health Place 2016; 38:96-102. doi: 10.1016/j.healthplace.2015.12.004. Epub 2016 Feb 1.

4. Friedan B. The Feminine Mystique, Trad. it. La mistica della femminilità, Roma, Castelvecchi, 2012 .

5. Tseng M et al. Is neighborhood obesogenity associated with body mass index in women? Application of an obesogenity index in socioeconomically disadvantaged neighborhood. Health Place 2014; 30:20-7. doi: 10.1016/j.healthplace.2014.07.012. Epub 2014 Aug 23.

6. Niolu C, Bianciardi E, Siracusano A. Gender differences in sexual dysfunctions among individuals with obesity. Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 69-74.

7. Caselli G. The gender gap in survival: a new perspective. Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 75-82.

8. Ventura-Clapier R, Moulin M, Piquereau J, Zurlo G, Garnier A. Sex differences in anthracycline cardiotoxicity. Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 47-54.

9. Solarino G, Vicenti G, Picca G, Rifino F, Carrozzo M, Moretti B. A review of gender differences in hip fractures anatomy, morbidity, mortality and function. Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 55-9.

10. Manicardi V et al. on behalf of Gruppo Donna AMD. Gender differences in type 2 diabetes (Italy). Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 60-8.

11. Le politiche in materia di medicina di genere della Regione Emilia-Romagna. A colloquio con Roberta Mori. Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 85-7.

12. Baggio G. Gender medicine, a necessary revolution. Book review of “Gender Medicine” by Marek Glezerman. Ital J Gender-Specific Med 2016; 2(2): 83-4.

Per approfondire, vedere anche il post di Michela Barzi, sul blog “inGenere”, “Ammalarsi di città”, 03/05/2016 e il dossier “Che genere di città” a cura di inGenere.it (http://www.ingenere.it/dossier/che-genere-di-citta).

Mariapaola Salmi

Editor in Chief

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